venerdì 17 ottobre 2008

Prendre femme : un film di Ronit Elkabetz (israeliana)



Prendre femme è un film dell'israeliana Ronit Elkabetz. L'ho visto questo pomeriggio, ma risale al 2004. Del film, è la sceneggiatrice, la regista e l'interprete principale. Perché è una storia autobiografica (racconta in chiave moderna quel che vedeva in casa sua da piccola).

Storia israeliana, ma neanche tanto. L'azione si svolge ad Haifa, presso una famiglia di ebrei marocchini (nel film si passa dal francese all'ebraico e viceversa). Lei parla quasi sempre in ebraico, in francese urla solo. Il marito preferisce ricorrere ad un francese magrebino e a stento si esprime nella lingua d'Israele. Eppure è lui il tradizionalista osservante.

Sono genitori di 4 figli, il problema è che lei non lo ama più e lui la ama ancora (ma non sa dirlo, né dimostrarlo). Il problema è anche che lei va verso la modernità e lui è ancorato ai valori tradizionali uomo-donna.

Attorno a questo nucleo familiare ci sono i vicini e i parenti (i fratelli di lei, la madre di lui, etc.).
Tutti interferiscono nel loro ménage. Quasi tutti consigliano all'ancora giovane Viviane di restare accanto a Eliahou, vuoi per convenienza sociale vuoi per osservanza delle leggi morali e religiose.



Non mi interessa chi abbia ragione. Personalmente il personaggio del marito mi fa molta tenerezza. Quel che mi ha colpito è il temperamento e il modo di approcciarsi che ha Viviane. Mi ci sono riconosciuta per certi tratti esteriori: affettuosissima con il figlio maschio adolescente (d'altronde, me lo dicono da anni che sono una mamma ebrea, pur non essendolo), melodrammaticamente teatrale nelle scenate, nel voler affermare (... urlare) quel che sente dentro di sé, assolutamente astratta e distante di fronte alle altrui dichiarazioni d'amore.

Certo, Ronit è una donna eccezionalmente affascinante. Molto più sullo schermo che nelle interviste (che pure ho viste). Ha scritto di lei la critica televisiva Cécile Mury: corps altier, beauté fatiguée mais impérieuse. Mai parole furono più azzeccate.



Metto qui due frammenti del film (di cui però non ho amato il finale aperto). Purtroppo non ci sono sottotitoli in italiano, ma bastano le espressioni del suo volto.

Il primo ha luogo nella rettangolare e angusta cucina di casa, con i fratelli e i vicini attorno, che la sconsigliano - quasi tutti - di divorziare da quel sant'uomo del marito.

Il secondo - sempre in cucina - filma lo scoppio di nervi di Viviane di fronte al marito che le chiede che cosa pensa mai di fare (segue scena madre classica - in yddish - con polpette al sugo gettate sul pavimento e pianti disperati in mezzo ai parenti).
Bellissimo film.

2 commenti:

Paolo Pantaleo ha detto...

Mi hai fatto venire in mente due battute di Moni Ovadia sulla yiddishe mame.
"Che differenza ce a passa tra un avoltoio e una yiddishe mame? Tutti e due ti mangiano il cuore, solo che l'avoltoio ce l'ha più pietà: aspetta almeno che sei morto!! Da noi si dice, come in tutto il mondo "di mama ce n'è una sola", ma da noi si aggiunge subito "BARUCH HA SHEM!" (sia ringraziato il signore) :-))))

Jacqueline Spaccini (Artemide Diana) ha detto...

Ma insomma... che vorresti dire, eh?

;)))