giovedì 16 dicembre 2010

Buon Natale 2010 e Felice Anno Nuovo 2011!

0 commenti

buon Natale e buone feste!





©http://mariopulimanti.blog.kataweb.it/files/2009/04/la-piu-bella-citta-del-mondo.jpg

Vi lascio con una citazione presa in prestito da uno scrittore britannico di cui ignoravo l'esistenza fino a quest'oggi, Charles Morgan (1894-1958):
Nessun fuoco, nessun carbone può ardere così forte
come un amore segreto, di cui nessuno sa nulla.

sabato 4 dicembre 2010

Dài un dito e ti prendono il braccio

5 commenti
Ma perché ci sono persone che ti incontrano, non le hai mai viste, e ti danno del tu?

E altre, invece, che conosci da una vita, alle quali vorresti dare del tu, e  con le quali continui a darti del Lei (o del Vous)?

Misteri.

Se ti stai chiedendo che cosa c'entri Biancaneve e i 7 nani, la risposta è niente. O forse sì, chiedi all'istinto.

sabato 27 novembre 2010

I cachi: storia di un amore ricambiato

10 commenti
L'amore è il mio nei confronti dell'albero dei cachi (o kaki, in francese corretto: plaquemine). Fin da quando ero bambina, la visione di questi alberelli non molto robusti, spogli di foglie ma addobbati come alberi di natale, con le palle tutte arancioni, mi ha sempre allargato il cuore e formato una parola in caratteri stampatello dentro di me: NOVEMBRE.


Ho sempre desiderato avere un albero di cachi in casa. Ma in assenza di giardino o giardinetto, è rimasto un pio desiderio.

A dire il vero, quand'ero piccola, malgrado il mio amore per l'albero, il frutto mi deludeva alquanto: o era quasi sfranto (espressione dialettale che deriva da frangere, spremere/schiacciare e che sta a indicare qualcosa che si rompe come se fosse schiacciato, generalmente rivolto a frutta) oppure allappava (altra espressione esclusivamente riservata ai cachi, clicca qui). Ma anche tutte e due le cose.

Oggi invece i cachi sono tosti, non allappano più, hanno un sapore vanigliato e discreto e non si rompono.  Mi piacciono molto quelli di provenienza israeliana, ma son troppo cari.
Senza semi, in Francia li chiamano i kaki del Giappone. In Croazia, Japanska Jabuka (mela del Giappone).Saranno pure imbastarditi, ma ora ne mangio almeno uno al giorno.


martedì 23 novembre 2010

Villerupt,che sembra una città di Ken Loach. Villerupt, mon amour.

0 commenti

Come ogni anno, Villerupt ha aperto - tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre -  la  settimana dedicata al Festival del film italiano. Villerupt è una piccola cittadina dell'Est francese, confinante con il Lussemburgo. La regione di appartenza è la Lorena, il dipartimento è quello di Meurthe-et-Moselle (54190), nome che riunisce i due fiumi, un sub-affluente (la Meurthe) e un affluente (la Moselle) del grande Reno.

Credo che sia uno dei luoghi di Francia a più alta densità di cognomi italiani. Villerupt è gemellata con la città toscana di Aulla, mentre la cittadina subito a ridosso, Audun-le-Tisch lo è con Gualdo Tadino, cittadina dell'Umbria che insieme con Gubbio ha dato moltissimi lavoratori  queste  zone, alle miniere circostanti, agli altiforni dell'usine di Micheville. E moltissimi al bâtiment, cioè all'edilizia. 

Tra di essi, mio nonno materno e mio padre, originari di Gubbio, emigrati per mancanza di lavoro in Italia. In mezzo a loro, mia madre che faceva la sarta a Thil, se non sbaglio. Tanti italiani: sardi, umbri, liguri, marchigiani, toscani, siciliani. E poi polacchi, portoghesi, magrebini.

Mio nonno materno tornò in Italia;  mio padre è tornato in Italia; alcuni miei zii sono rimasti. Io sono ritornata in Francia, ma credo che molto presto farò come i salmoni e rientrerò in Italia.

Ora gli italiani che sono lì, quelli di seconda generazione,  sfiorano la cinquantina; i giovani sono già di terza e quarta generazione. Qualcuno ha studiato l'italiano all'università, qualcun altro è andato a lavorare ben presto. Mi risulta che i miei cugini rimasti là (40-50enni) non mastichino una parola o quasi, di italiano. Che scialo.


 photo by JSpaccini


Da Villerupt, ho telefonato ai miei. Mio padre mi ha chiesto di andare a rivedere la clinica in cui sono nata. Ma è stata demolita da oltre 30 anni. Di entrare al Corona, il bar del paese. Ma non esiste più. Di salutare la nostra casetta della rue Alfred Mézières.
Ma quella proprio non ce l'ho fatta. L'ultima volta - dieci anni fa - mi è bastata.

Vabbè, al festival tornerò sul blog letterario in un altro momento.

1 commenti
Dove eravamo rimasti?

Ragazzi, è un periodo che va da schifo. Sto esagerando, lo so. Tuttavia, è da un po' che lavoro molto e raccolgo poco. Scrivo scrivo ma soddisfazioni, niet.

Una cosa fastidiosa è la memoria che cala, come la vista. Per chi - come me - è sempre stato dotato di una memoria in calcestruzzo, il ferro fa ridere. Per intenderci: entrando in una classe per la prima volta, molto prima del termine dell'ora conoscevo a memoria tutti i nomi. In realtà non li imparavo proprio tutti, ma quasi. Avevo un'elaborazione mnemonica associativa impressionante. Ora se qualcuno mi interrompe, faccio fatica a ricordarmi persino che stavo parlando di andare a preparare il caffè.

Stress, si dirà. Eh, sì, sì, ma non solo.
Comunque, in questa settimana ho finito di scrivere articoli, il nuovo libro è in stampa, ho fatto quasi tutti i partiels (i compiti in classe universitari). Sto studiando per bene il ruolo a teatro e provo ad allenarmi meglio per la sevillana (che sta alla Spagna come il flamenco sta ai Gitani). Forse ci scappa un museo col coniuge.
Mo' vediamo. Magari mi viene anche da scrivere qualcosa per gli altri blog.
Buone cose a tutti.

giovedì 28 ottobre 2010

Biutiful di Alejandro Gonzalez Inarritu: uno splendido pugno nello stomaco

5 commenti
Un grande regista (autore del soggetto e anche sceneggiatore, immagino di certo anche montatore): Alejandro González Iñárritu

Un grande attore: Javier Bardem.

Un film superbo: Biutiful. Un pugno nello stomaco.

Meglio in spagnolo con sottotitoli (il video che posto è in americano, sottotitolato francese)


Fatemi fare la fanatica...

2 commenti

Da un giornale sloveno. Dietro le 5 poetesse dalla Compagnia internazionale delle Poete, il mio faccione, quello della Vallicelliana...

Dite che faccio molto madre di Woody Allen in New York Stories?

Confronto:

mercoledì 27 ottobre 2010

Ristorantino parigino da consigliare all'espace KIRON (XIe arrondissement)

0 commenti

Sotto al decimo e accanto al ventesimo, nell'undicesimo arrondissement di Parigi, non distante dalla stazione metropolitana Philippe-Auguste (ligne 2), c'è Art&Caffè, un ristorantino che cucina all'italiana (cuoco toscano). Si trova all'interno dell'espace KIRON, un poli- o multi-spazio, che si trova nella rue La Vacquerie.

Una delle sale dell'Espace Kiron


Col mio amico Eugenio (che è anche un collega di italiano) con il quale andiamo alla scoperta di ristorantini dove si mangia bene e si paga poco, oggi abbiamo loupé, mancato, il buffet à volonté (quello che con 12€, mangi quel che vuoi), ormai previsto solo nelle giornate del lunedì e del giovedì.

Negli altri giorni, come oggi, si mangia con 9€50 (un piatto), 12€ (due piatti), 15€ (tre piatti: entrée + plat du jour + dessert).
Abbiamo felicemente optato per polenta con sugo di macinata (vitello+maiale - o salsiccia sbriciolata, forse anche vino) e parmigiano. Ragù eccellente, aveva lo stesso sapore di quello che faccio io e per il quale impiego 3 ore.

Poi un ottimo arrosto di vitello (il pezzo era quello dell'almone - in gergo scamone - che ai romani piace tanto) con contorno di piselli e carote e per dessert io non mi sono fidata del dolce e ho preso del gorgonzola (tantissimo!). E ho sbagliato.

La tricotta al limone (con un coulis rosso sopra) che ha preso Eugenio, era pura poesia. Identica come sapore a questa charlotte fatta da me (ma io ci ho messo l'arancia). Il Montepulciano rosso era buono, il caffè era buono (sans plus).

Questo l'ambiente:

Restaurant Art&Caffè, Paris XIe


Per sgranchirci le gambe, abbiamo poi fatto una passeggiata nell'adiacente Père Lachaise. 

Sì, il cimitero: è pieno di begli alberi, ci sono personaggi famosi, i sepolcri hanno interessanti linee architettoniche.

Rossini è stato trasferito in Italia. Sì, sì, tranquilli: Jim Morrison sta sempre là.

sabato 23 ottobre 2010

Ottant'anni

2 commenti
io tra mamma e papà (1959)


È da tempo che non sono intimista (così mi pare, almeno), che non racconto i fatti miei, insomma.
Ma pochi giorni fa mio padre (colui che è stato il grande antagonista della mia vita) ha compiuto 80 anni. E quindi...

Un po' per l'età degna di rispetto, un po' perché sono madre di un 18enne o forse perché sono a un tournant, a una svolta della mia vita (che volete, sono banale, ho più di 50 anni), gli dedico questo post.
Per ringraziarlo.


A dire il vero, i dissapori, le liti, i contrasti, le divergenze che ci hanno appiccicato l'uno contro l'altra per tanti e tanti anni, si son calmati solo dopo che mia madre, in presenza dell'ennesima lite furiosa tra noi, ebbe un'ischemia (eh, lo so non mi fa onore).

Da quel momento azzerammo tutte le nostre diatribe, verbali e fisiche. L'aggressività mia si acquetò e posai su di lui uno sguardo oserei dire materno.

Mio padre era quel che era, ma era mio padre. E, seppur con molti difetti, tipici di un maschilista, un padre buono. E fiero di me (anche se non me lo aveva mai detto). Così come io non avevo capito che  lui aveva tanto bisogno di quell'amore che da bambino non aveva ricevuto, di una prova, una carezza, un sorriso, un bacio.

E invece  si è ritrovato una figlia scorbutica, che da bimba  - se qualcuno osava posare un bacio su una guancia - subito ci passava sopra la mano, come a cancellare, disgustata, l'atto.
Una bimba (io) che voleva essere amata e stimata e avrebbe fatto qualunque cosa per ottenere amore e rispetto.

Da quel giorno di 12 anni fa, quello dell'ischemia di mamma, tutto è cambiato.
Anch'io sono cambiata, meno furiosa (anche se - ormai definitivamente -  grintosa e maschile).

Il che, se debbo dire, mi è servito molto nella vita. Soprattutto quella lavorativa. Non sono mai stata una svenevole, non ho accettato compromessi; nessun uomo mi ha mancato di rispetto (se non per amore. Lo so è un paradosso, ma non posso né voglio spiegare).

E c'è da dire che ho una madre meravigliosa. Lei, col suo silenzio amorevole, mi ha sorretto nei momenti di infinita (e ricercata) solitudine che è diventata nel tempo la mia vita interiore.

Grazie papà, buon compleanno e ricorda che io sono orgogliosa della nostra originaria povertà, dell'emigrazione, dell'essere dei ritals, ma soprattutto di essere riusciti ad amare e essere amati.

Tua figlia maggiore


________
Per il significato della parola rital, clicca qui (ma oggi non è più un termine per davvero ingiurioso).

Caspar David FriedrichLe bianche scogliere di Rugen, cm. 90 x 70, Fondazione Reinhart, Winterthur


sabato 16 ottobre 2010

Qualche volta, durante la giornata

1 commenti
photo by Jacqueline Spaccini©2009

... ti accorgi che hai bisogno della tua piccola vita quotidiana, che non la scambieresti con nessun'altra al mondo. 

E ti si stringe il cuore per una felicità che vola via come una foglia che precipita dal suo albero.

lunedì 27 settembre 2010

Una canzone romanticheggiante

4 commenti

domenica 26 settembre 2010

Salta, mordi, vivi! Jump dei Van Halen (io c'ero e me li ricordo bene)

1 commenti
Cerchiamo di non essere morti.


Van Halen - Jump
envoyé par bernynab. - Regardez d'autres vidéos de musique.

sabato 25 settembre 2010

La mia Caen

0 commenti

Caen vu Par... (ses réalisateurs) Bande Annonce from RADAR-Normandie on Vimeo.

Sortie nationale le 27 novembre 2010

sabato 18 settembre 2010

La convenienza della pecora (chiacchiere attorno al desco)

3 commenti
O della fierezza dell'esser pecora.
Sì, sì, lo so: un ossimoro. Un pecora non può - per antonomasia - essere fiera. Ma vado a spiegare.


Di pecore (metaforiche, va da sé) è piena la storia. Pecore-schiave (prima di Spartacus), pecore-serve nelle società gentilizie dei secoli passati e pecore-servitrici, generazioni di persone che si son ridotte al ruolo di gente e per giunta propria sponte.
Perché?

Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia, recita l'antico detto. Antico, troppo antico.
Le pecore di oggi hanno capito che il lupo non se le mangia: le ingrassa.
foto prelevata dal sito: http://www.valbrembanaweb.com/
Il «lupo» ha bisogno di fans.
La pecora sta al lupo come il fan sta al divo. 

Non metto tutti nel calderone, e di certo non m'interessa qui il fan di tale o talaltro cantante, tale o talaltro attore, né sono interessata a veri lupi e a vere pecore. 

Parlo di un atteggiamento aprioristico, insomma di quel servilismo moderno, di quell'autocandidatura a non assumersi responsabilità, a seguir la massa, a essere conforme. Per non sbagliare? No, per essere approvati. 

Giacché è un'epoca (questa) in cui l'altrui approvazione ci restituisce uno status, se non addirittura  un'identità. 


Qual è il  passo ulteriore (ma non un passo avanti)? Il fan - nella sua versione più "accecata", quello del devoto che tutto accetta, quello che mitizza senza critica, quello che si comporta come il credente nei confronti di un dogma - opera  inizialmente una proiezione che velocemente si trasforma in identificazione. Non v'è più distanza: il servo/fan sente di poter essere il padrone/divo

Sicché se il suo idolo è criticato, sente di esser lui stesso criticato. Forte della nuova identità,  non si limita a protestare, non penserà ad argomentare la sua posizione, né esporrà il proprio (si fa per dire) punto di vista. 

No, il fan - novella pecora di antico (seppur neppure troppo colpevole) lupo - grazie alla provvisoria identificazione assunta, la quale gli fornisce (perlomeno ai suoi occhi) un potente  seppur provvisorio  (e intangibile) status, attacca: si fa aggressivo, ostenta animosità, morde. Il nostro Fracchia, da dr. Jekyll si è mutato in Mr. Hide: guai a criticare l'idolo, son parolacce, altro che parole!



Tranquilli: solo verbalmente. E solo nell'universo internet. 
Nella vita di tutti i giorni, il nostro super-eroe non ardisce nemmeno di vestire i panni di un Arlecchino servitore di due padroni. Richiederebbe troppa arguzia, un filo di intelligenza applicata.
E soprattutto occorrerebbe darsi da fare. Qui ci si dà da fare solo in palestra.

Nella vita di tutti i giorni è un Fracchia solo meno appariscente. D'altronde, che volete, è la dura legge del super-eroe.

Nella vita di tutti i giorni, costui rifugge dalle responsabilità. Un tempo, attraverso il lavoro si cercava di acquisire quella che si definisce una personalità giuridica in grado di affrancarsi (ad esempio) dalla provenienza da un ceto sociale non abbiente. Se si era dipendenti, si cercava di diventare al più presto padroni di se stessi, di non avere un capo sulla testa.

La figura del self-made man aveva cancellato la vegogna della provenienza sociale. La lotta di classe proletaria aveva restituito orgoglio a chi avesse avuto "umili natali";  la democrazia  aperto i battenti delle università e dello studio in genere.

Oggi, dopo un perfetto lavaggio di cervelli propinato (non solo ma anche) dalla tv, quel che si vuole è avere una vita senza pensieri, un lavoro qualunque (e chi se ne frega se non ci piace. Chi se ne frega? Scherziamo? Facciamocelo piacere se non ci piace, ché nel lavoro viviamo oltre metà del nostro quotidiano), il week-end assicurato. Queste - per molti - sono le massime aspirazioni. 


Per altro, non c'è posto. Però è d'obbligo: possedere  fin da giovani (e se non si possiede si ha l'impressione di essere dei poveracci, dei perdenti come si usa dire): una casa di proprietà, un'automobile, le vacanze estive (e suvvia, anche quelle invernali), cambio d'abiti di stagione (meglio se firmati), le unghie dalla manicure, i pettorali per gli uomini e il sedere alto per le donne, e chi più ne ha più ne metta.


Intanto, il cervello è buono solo se fritto con contorno di zucchine, patate, pomodori e insalatina fresca.





Svegliamoci, non è un problema solo italiano.



venerdì 17 settembre 2010

Cose che capitano nel mio palazzo (cronistoria in guisa di raccontino)

1 commenti
Ieri sera abbiamo avuto visite. Polizia e pompieri con la scala a salir fin sull'ultimo piano.
Apro la finestra e mi rivolgo agli agenti chiedendo che cosa succede. Il più anziano (si fa per dire) di loro mi dice che la signora dell'ultimo piano sono mesi che non si vede più in giro,  la posta che la gardienne distribuisce sotto al tappetino assomiglia alle torri gemelle di antica e sfortunata memoria (sì questo l'ho aggiunto io), insomma si è accumulata, nel mese di agosto il fratello della signora ha chiamato per avvisare che un altro fratello è morto in un incidente stradale ma lei non ha risposto al telefono... E insomma, si teme il peggio.

Sarò cinica: io cattivi odori non ne ho sentiti in questi mesi. Quindi... E sarò anche più spietata: io questa signora dell'ultimo piano non ce l'ho proprio in mente.

Rompono i vetri del terrazzo, entrano. Ridiscendono, l'appartamento è vuoto. Tant mieux. C'est mieux.

Che fine ha fatto la signora dell'ultimo piano? Perché il fratello superstite non si è precipitato qui in casa? Come mai non è stato lanciato un avis de recherche? È mai possibile che una persona dotata di familiari possa stare in silenzio per mesi senza che nessuno se ne accorga? E dov'è andata? E perché mio figlio la ricorda (la signora che non risponde mai al suo Bonjour, Madame, quella - dice lui - che lo guarda di traverso)?

Oggi vedo la gardienne farmi cenno dal  cortile. Io la vedo dalla finestra mentre sto tagliando l'agnello appena tirato fuori dal forno, è il compleanno di mio marito. Dico che la cerco dopo, lei mi dice che tra poco arriva il syndic (l'amministratore) e di nuovo polizia + pompieri. Ha avuto un'idea: e se la signora dell'ultimo piano fosse nella cantina?

Mangiamo, brindiamo, tagliamo la torta di meringhe con lamponi. In cantina? Chiusa a chiave? Un suicidio? Però è vero che c'è un cattivo odore da un po' di tempo. Avevo pensato a pipì di cane o di gatto.

15 minuti dopo l'arrivo dei poliziotti, apro la porta e vedo una donna sui 75 anni, coi capelli belli e bianchissimi, smagrita e altera che arrogantemente apostrofa i poliziotti dicendo loro che li citerà per danni. La signora dell'ultimo piano.

Parlo con la gentile gardienne che si era preoccupata per lei. Lei racconta che a quanto pare la signora ha vissuto in questi ultimi due mesi chiusa in cantina, nutrendosi soltanto (a suo dire) di un cesto di mele che aveva portato dabbasso. Racconta che ci si è rinchiusa deliberatamente perché il mondo è cattivo, nel palazzo ce l'hanno tutti con lei e che si pratica la magia nera contro di lei. I poliziotti l'hanno imbarcata nel furgone, destinazione ospedale reparto psichiatria.

Ho abbracciato e ringraziato la gardienne per la sua premura. Non l'ha fatto nessuno. Di certo, non l'ha fatto la strampalata e arrogante signora-bene divenuta una silfide nel frattempo. 


olio di Michele Tanzi

Un cesto di mele = meno 30 kg. Bella cura dimagrante.
Sarà vero? Per me quella usciva di notte e saliva in casa. 
Bello scherzo, signora dell'ultimo piano.

La lettera aperta di Armando Gnisci ai suoi allievi: un addio e un arrivederci

4 commenti

La lettera di congedo di Armando Gnisci ai suoi allievi della Sapienza

pubblicata da Mia Lecomte il giorno martedì 14 settembre 2010 alle ore 16.57 su facebook
                                                                                                                                                           6 settembre 2010
Cari Studenti,
bentornati, e benvenuti ai nuovi iscritti.
Dal primo novembre del 2010 non mi troverete più tra i vostri docenti, perché ho deciso di andare in pensione anticipatamente dando le dimissioni volontarie  dall'università.
Ci tengo a comunicarvi ufficialmente e sinceramente questa notizia perché sappiate con chiarezza e certezza il motivo della mia sparizione. Viviamo, infatti, in un'epoca in cui la menzogna, la volgarità e l'oblio informano la comunicazione e formano addirittura la nostra educazione.
Continuo altrove e altrimenti a lavorare per la giustizia e la compassione mediante il sapere umanistico.
Vi saluto assicurandovi che l'unica parte dell'università dalla quale non mi sono dimesso  è la vostra. Anche se non mi avrete mai incontrato e conosciuto.
La parte migliore della mia lunga carriera accademica è segnata, infatti, dai 4 anni di formazione in Filosofia presso la nostra Facoltà, dal 1964 al 1968. Allora ho vissuto la sapienza come un convivio e una famiglia. Nella educazione alla conoscenza con gioia, rispetto e speranza. Insieme ai miei indimenticabili compagni di studio e ai nostri maestri. Voglio ricordarvi i nomi per me più importanti tra loro: Emilio Garroni, Guido Calogero e Tullio De Mauro; Santo Mazzarino e Arsenio Frugoni; Giulio Carlo Argan e Walter Binni.
Poi, per quaranta anni, ho vissuto la professione accademica come uno straniero in terra straniera. Tanto che mi sono sentito più ad agio nelle università spagnole e egiziane, statunitensi e slovacche, giapponesi e argentine, che in quelle patrie.
È per questo motivo che considero ancora, e sempre, la condizione studentesca come quella più fortunata nell'università. E perciò ho sentito in questi anni voi come i miei veri colleghi.
Anche se proprio per voi, è diventato sempre più difficile vivere questo luogo come sede della conoscenza, della familiarità, del rispetto e della gioia.
Vi chiedo, in ultimo, di non perdere speranza, in voi stessi e nella comune repubblica, che sembra tramontare sull'orizzonte civile degli italiani, invece che venirci incontro come "il sole dell'avvenire". Sappiate che solo voi potete ogni volta che lo vogliate far risorgere il desiderio e il fervore di un "brave new world", come scrive Shakespeare ne La Tempesta. L'utopia di un "meraviglioso mondo nuovo", al quale tutti abbiamo diritto. E per il quale serviamo noi letterati: per poterlo immaginare e tradurre. E per indicarlo come il valore finale di una educazione che non può finire mai, come ci hanno insegnato i nostri antenati latini.
Scrivetemi, se volete. Vale.                        
                                                                                                              armando gnisci


lunedì 30 agosto 2010

Stress da effimera celebrità

12 commenti
Ho superato i 50 anni senza scossoni di sorta; qualche piccola gratificazione, ma nulla di più. Non ho neanche mai amato la gloria; quanto al successo, non l'ho mai bramato né lo farò ora.

Quello che vado a raccontare è il resoconto - qualche impressione (in maniera autoironica) - di quel che è seguito all'ottenimento del premio speciale saggististica alla edizione 2010 del Premio Pavese.

In primo luogo: avevo pagato la quota di iscrizione (cioè, l'ha pagata mio fratello che vive a Roma) come per il premio Calvino (che non ho vinto), e inviato le copie del libro fresche di stampa (erano uscite due giorni prima della chiusura del bando), senza speranza. Ma se una che pubblica un libro su Pavese non lo invia quello stesso anno, alla scadenza di un bando a lui dedicato... è proprio scema. Quindi sono diventata una concorrente l'ultimo giorno utile, il 20 giugno.

In secondo luogo: il giorno in cui mi hanno telefonato da Santo Stefano Belbo per annunciarmi che avevo vinto il premio insieme con Gad Lerner, Margherita Hack, Maria Luisa Spaziani e Carlo Ossola, non ho fatto neanche parlare la signorina: dal tono della voce e il modo di presentarsi, ho attaccato il telefono in faccia - negando la mia identità - pensando all'ennesima operazione commerciale (ero in Italia per le ferie).  Mi ha richiamato poco dopo - sul cellulare - il fondatore del premio per comunicarmi l'attribuzione ufficiale del premio.


In terzo luogo: le interviste.
Io credevo che il tutto si sarebbe limitato alla  menzione del mio nome in qualche giornale (magari di provincia). E l'ho anche cercato, il mio nome. Non l'ho trovato, per fortuna esiste internet che recupera... L'addetta stampa (bravissima) del premio mi ha telefonato procurandomi interviste qua e là (belle, eh), ma stressanti per me che non sono abituata (chissà come avrà fatto quello dei numeri primi).
I giorni successivi, li ho vissuti (oltre che a cucinare e a scrivere) attaccata al telefono, pronta a sollevare la cornetta e a rispondere alle domande.

Con la paura. Di che? No, emozione nessuna. Queste le mie paure:
1. la voce che non si sente perché il mio telefono italiano funziona come se io mi trovassi in Alaska e spesso cade la linea (è successo sempre);
2. lo svarione. Fatto! Ho detto che l'acero è una conifera (e mentre lo dicevo, pensavo, CORREGGITI! È il larice che è una conifera decidua, NON l'acero). Non mi sono corretta.
3. la mia voce. Ho 4 grafie quando scrivo e ho 3 voci diverse. Le ho usate tutte. Quindi se vi pare che la mia voce non sia la stessa nelle interviste rilasciate alla radio, vi pare bene. Se poi si sembra che nessuna corrisponda a quella che ho nella vita, vi sembra altrettanto bene[1].

In quarto luogo: per avere diritto al premio, bisogna essere fisicamente presente il giorno in cui si conferisce il premio. Il 29 agosto. Per quella data, avevo deciso di essere già rientrata a Saint-Cloud, ma sarebbe stato esagerato rientrare con la famiglia (e il cane) tutti in auto e poi ridiscendere io da sola nelle Langhe. Sicché ho pensato: rientriamo tutti il 28, ci fermiamo a dormire a S. Stefano Belbo, l'indomani ritiro il premio e rientriamo a Parigi.
Sì. Bella pensata.

Ho evidentemente dimenticato che vuol dire rientrare in epoca di bollino rosso o bollino nero, fine agosto. Sicché fa nulla, si parte. Mi ero riposata durante le ferie? Per niente. In compenso ho finito di scrivere un nuovo libro e portato a metà un altro ancora. Sono ingrassata di due chili, davanti al pc.

Si parte il 28. Caricata auto e trasportino cane, c'è il sole, non è prestissimo, ma insomma. Tanto nel primo pomeriggio saremo in Piemonte.
Proprio.
Non avevo fatto eccessivo caso alla bellezza della Toscana? Ci ha pensato il fato. O la fata, fate voi.
Perché la gente non rispetta la distanza di sicurezza? Insomma, ci vengono addosso, ci tamponano, in un maxi ingorgo. Non mi fanno quasi  niente per fortuna, ma aspettando la polizia, trascorrono due ore tra chiacchiere, traduzioni (coinvolti con me anche due olandesi e due tedeschi), battute coi poliziotti da noi soprannominati Starsky & Hutch (uno dei due, vedendoci, esclama: «Oddio, son tutti stranieri!»), verbali da correggere ("No, non è l'olandese che mi ha tamponato, è il fiorentino!), sole battente da abbronzatura... Poi traffico, traffico, traffico.
Nelle Langhe il tom tom è quello di Enrico Brignano [2] e ci abbandona, ci manda per farfalle, ci fa sbagliare strada. Perdiamo altro tempo e perdo la cena e l'incontro con la Hack e la Spaziani.
Pazienza, all'agriturismo si mangia bene e io ho un sonno pazzesco (ma intorno c'è una gran cagnara, nel senso di casino di cani che abbaiano).

L'indomani mattina, chiedo e ottengo di poter andar via prima -  rispondo alla domanda bella e profonda della presidente, rispondo fuori tema, mi perdo il pranzo, le chiacchiere con gli addetti stampa, con i premiati, forse qualche possibilità importante... chissà, non lo sapremo mai.

Ritiro il premio, me ne vado di corsa, prendo la macchina e alle 12h ci dirigiamo verso Asti, destinazione Francia. In fondo, son solo 900 km.

Caspita, sono già stanchissima e neanche sono partita. Naturalmente, a causa delle curve vinifere, il cane ha vomitato. A chi tocca raccogliere il risultato? Indovinate un po'.

Ore dopo sono ancora soltanto nel sud della Francia e quasi dormo. Cerco il Dark Dog che è un energetico - dal sapore disgustosamente dolce - che però ha il potere di farmi restare con gli occhi aperti per ore e invece non lo trovo, solo Red Bull.
Che non vale nulla (ma con un sapore ugualmente, sebbene inutilmente, schifoso). E ho sonno. Sono sul sellino come un ciclista sul Puy de Dôme. Dopo varie soste, trovo il Dark Dog e cinque minuti dopo sono sveglissima, proseguo come una scheggia fino a Saint-Cloud. Sono le 23h30, presto!, ancora mezz'ora e la Corolla Verso Toyota si trasformerà in una zucca.

Quasi mezzanotte, vedo il ponte di Saint-Cloud da Boulogne-Billancourt: ce l'abbiamo fatta.

Macché. C'è il concerto del Festival Rock en Seine. Non si entra dentro Saint-Cloud da Boulogne-Billancourt.
'Azzzzzzzzzz.

Via, si torna sulla Senna, si arriva fino a Suresnes, si rientra da un'altra parte, si scarica tutto.

All'una si può andare a dormire? Si può.
Però piove fitto fitto e siamo passati da 35 a 13 gradi centigradi.

Dura la vita della scrittrice premiata. Non fa per me. Troppo stress.

Scherzo, eh. Viva lo stess (lo stress).

Sono irriverente? Ma su, dài, mi conoscete. Sapete come sono.




__________
[1]Metto l'intervista di un minuto rilasciata al GR1 nazionale alle 8h del mattino: 

GR1 del 27 agosto 2010 (verso la fine, dopo i primi 20-22 minuti)


e poi il servizio del TG3 Regione Piemonte (dopo i primi 9 minuti e mezzo) del 29 agosto 2010 (ma ora se cliccate sopra non c'è più).


Le interviste a ISORADIO, e altre ancora, non le ho potute reperire. 

La lunga intervista cartacea fattami al telefono è uscita su Il Giornale di Brescia del 27 agosto 2010 a cura di Francesco Mannoni.


La bellissima intervista in diretta rilasciata a Livio Partiti per Il posto delle parole, trasmissione di  TRS, radio piemontese, durata quasi trenta minuti ha un mp3 troppo pesante (30 minuti di intervista). Ve ne faccio grazia.

[2] Mi riferisco allo sketch tratto da "Il matrimonio" (clicca qui) precisamente dal minuto 2'40" al minuto 3'15"






mercoledì 14 luglio 2010

14 juillet : Roberto Alagna entonne la Marseillaise

0 commenti


Un Français aux origines italiennes (assumées et revendiquées) entonne - et chante à gorge déployée - la Marseillaise. Le sens profond de la France.

Buon 14 luglio.
Un'antimilitarista ossimorica

giovedì 8 luglio 2010

Non c'è bisogno di parole

0 commenti

mercoledì 7 luglio 2010

Notizie dall'invidiata Francia

0 commenti

il libro non ha naturalmente nulla a che vedere
con i fatti di seguito riportati
Questo post (che vuol essere realistico e assolutamente non denigratorio nei confronti del popolo francese) è dedicato a tutti quegli italiani che mi dicono sempre:
Eh, queste cose in Francia non succedono!
Notizie tratte dal quotidiano gratuito Metro del 7 luglio 2010 (il link si rinnova giorno per giorno, quindi già domani non riporterà più queste notizie, credo). Relata refero:

Tempesta a Sarkoland. Secondo l'ex-contabile di Liliane Bettencourt, la miliardaria avrebbe illegalmente finanziato la campagna presidenziale di Nicolas Sarkozy. Tale rivelazione pone il capo di Stato in una situazione molto delicata.

Velo integrale (= niqab) : il PS (partito socialista francese) cambia argomento, si defila, si sottrae alla domanda  (per i romani, forzandone il senso e arrivando alla conclusione: l'ammischia).

Nicodème: è un tragico incidente. Dopo vane ricerche, un bambino di 22 mesi viene ritrovato nella fossa settica [che brutto eufemismo] del giardino dei nonni, morto annegato

Morte di un soldato francese in Afghanistan a seguito delle ferite riportate per l'esplosione di un congegno esplosivo. È il 45° militare francese che perde la vita in Afghanistan.

M6 (= tv privata del tipo tra Italia1 senza Fede e la7 quand'era Telemontecarlo, cioè non impegnata) annulla un suo reality dopo il suicidio di un candidato. Il reality si chiama Trompe-moi si tu peux (grosso modo: Tradiscimi, se ci riesci) e doveva andare in onda domani, ma le conseguenze del gioco di amore e tradimenti ha portato al suicidio di uno dei partecipanti.
 Esami di maturità (Bac) sottotono: risultati 2010 sensibilmente in ribasso (74,6%).

A Uckange (nella Mosella, regione Lorena), una madre che aveva pugnalato la figlia di 10 anni e convinto il figlioletto di 5 ad accusarsi al suo posto è stata condannata a 18 mesi di carcere.

Mariem, 20 anni, alla guida della Clio che si è scontrata la notte del 26 giugno scorso con l'auto di Mohamed, morto in seguito al linciaggio subìto sull'A13, potrebbe essere rimessa in libertà oggi stesso.


Anche se non si può applicare il detto TUTTO IL MONDO È PAESE, credo occorra riflettere. Se poi gli italiani trovano che l'Italia sta sprofondando (e lì, posso anche esser d'accordo), si diano una regolata e agiscano per quel che è nelle loro possibilità.Se e quando rientrerò in Italia, farò immediatamente azione politica (il contributo di ognuno seppur limitato è la preziosa gocciolina dell'oceano).



lunedì 28 giugno 2010

Yusuf Islam o Cat Stevens che dir si voglia

2 commenti
Canta sempre meravigliosamente bene questa canzone:

domenica 27 giugno 2010

Graduation Day 19.06.2010 di mio figlio

0 commenti
Bravo, Romain !

venerdì 25 giugno 2010

C'era una volta una giovane donna delle Marche...

2 commenti
Ci sono persone che vivono la loro vita non pensando a se stesse. Persone che quando provano a farlo, di già il pensiero le disturba. Perché temono di dar fastidio, temono di perdere la stima o l'affetto altrui. E così pensando, si ritraggono. Tengono i loro desideri in un cantuccio dei pensieri giornalieri o delle speranze mensili. Ritenendo che quel futuro auspicato probabilmente non si realizzerà mai.

Alle volte, però, i desideri sono più prepotenti delle persone. E finiscono per realizzarsi. Perché poi - va detto - quelle persone di cui sopra (quelle coi desideri nello scrigno del cuore), sono in gamba, preparate, ce la possono fare. Hanno solo (un solo grande come una casa) bisogno di crederci fino in fondo, di OSARE (a volte osare corrisponde a domandare), di rovesciare la propria pelle e smaltarla di una grinta rosso fuoco.

Peine perdue ? Mica lo so.

Silvia e io

C'era una volta una giovane donna delle Marche, Silvia, che di dubbio in dubbio il suo bel dottorato di ricerca l'ha ottenuto. E ora non ha la pazienza di vedere il mosto farsi vino in fondo al tino.  Scàlpita. Vorrebbe che la natura (anche l'universo letterario ha le sue stagioni!) non seguisse il suo corso, lei.

Silvia l'ho conosciuta anni fa, in qualche modo sono un personaggio del suo dottorato (venne a Parigi per pormi delle domande a proposito delle mie origini di emigrata). Era un brutto periodo per lei. Oggi ha terminato il suo lungo percorso accademico (l'ho rivista a Parigi, pochi giorni fa), ma come lei stessa ha detto solo quello s[a] fare: studiare. 

E allora osa, Silvia! Ma datti anche da fare, spulcia tutto quanto riguardi le offerte dell'UE, chiedi in giro, non aver vergogna. Fai come Maometto: vai alla montagna. Ora però, in primo luogo, passa delle serene vacanze.

C'è un tempo per tutto. A cruce salus.

Ti aggiungo un video che ti darà la carica (con me funziona. Parlo per esperienza, anch'io un tempo ero come te)

mercoledì 23 giugno 2010

Questa sono io

3 commenti
Càpita prima o poi di fare un passo falso. Càpita prima o poi che il mio carattere venga fuori così com'è. Prepotente. Assoluto. Padrone. Non ce la faccio, se c'è qualcosa da dire, la dico e al diavolo tutto.

Poi, rileggo quel che ho scritto o ripenso a quel che ho detto. Esagerata, sempre esagerata. 
Ma questa sono io, nel bene e nel male. 

(ma perché quando prevengo, dicendo di avere un pessimo carattere, nessuno mi crede?)

sabato 19 giugno 2010

Graduation Day: il lancio dei tocchi

4 commenti
Oggi s'è concluso il percorso scolastico di mio figlio. Un percorso linguisticamente «provante» che l'ha visto transitare per scuole italiane, croate, francesi, inglesi e per ultime americane.
Oggi è stato il GRADUATION DAY, giorno della consegna dei diplomi di maturità (si direbbe in Italia, sempre che si usi ancora questo termine), secondo il rito cerimoniale americano. 

Debbo dire che è stato per me e per mio marito molto emozionante. Ci sono state anche le lacrime di prammatica di una mamma innamorata del figlio. 
Durante la cerimonia mentre lo guardavo tutto compreso nel suo abito blu con in testa il tocco, l'ho rivisto crescere fino a farsi uomo.

Ora inizia l'università.
Le sue gioie sono le mie. Silenti. I suoi dolori sono i miei. Impotenti.
con il papà
Metto qui quel che scrissi quando nacque (è stupido, lo so, serve a me):

ROMAIN
Ton nom commence par la dureté du rocher 
et se termine sur les ailes du zéphyr.
Mamma

mercoledì 16 giugno 2010

Bekim Fehmiu

2 commenti

Omaggio al sogno della mia infanzia: Bekim Fehmiu, l'Ulisse della tv italiana non c'è più.
E sento spezzarsi tutta una serie di ricordi dentro di me.
Quello sguardo magnetico... le sirene... lui era le sirene.


martedì 15 giugno 2010

Il parcheggio dell'aeroporto CDG di Parigi

0 commenti

Bello, oggi.

Arrivo al parcheggio sotterraneo 2E dell'aeroporto Roissy-Charles De Gaulle (CDG) di Parigi. Costa, ma almeno si sta tranquillamente posteggiati.

C'est ça. Proprio.

Dei tre piani di parcheggio, due erano chiusi alle ore 14.15. Immaginate come si può trovare il parcheggio con una zona aperta su tre? Ecco, quando alfine sono riuscita con un vero colpo di fortuna (appena 20 mn di ricerca affannata), tutti concorrenti tra noi, come squali nel mare della notte, salgo su e scopro che l'aereo che attendo porta ritardo. Invece che alle 14.40 atterrerà alle 16.14 (bellino, il 14, eh?). Almeno è quanto previsto.

Finale: da quelle porte a scatto che fanno l'effetto di una ribalta per chi ne esce, la persona attesa è uscita alle 16.37.

Pagamento ticket del parcheggio: 12 euro tondi tondi.

Che meraviglia.

(ascoltare canzone dopo presentazione tedesca)

martedì 1 giugno 2010

Giuseppe Battiston, un attore di casa nella nostra famiglia

2 commenti

Mi è stato subito simpatico, fin dal primo film in cui ho fatto caso a lui, Giuseppe Battiston. Eravamo nel 2000 e il film di gran successo era Chiedimi se sono felice del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Interpretava il ruolo del ladro sfigato. Cfr. video sottostante (entrata in scena: 5'46") :



Poi l'ho rivisto - nello stesso anno - in quel film delizioso che ha per titolo Pani e tulipani nel ruolo di un improbabile detective. Buffo e divertente, con una vena di malinconia. 



Lo persi di vista. So che è stato un personaggio rilevante nel film La bestia nel cuore (2005). Purtroppo, non l'ho ancora visto.



Invece, mi colpì molto nella pellicola di Zanasi, Non pensarci (vista a Parigi con il titolo Ciao, Stefano) nel 2008. L'immagine di lui davanti ai delfini mi è impressa come quella di Stefano (Valerio Mastandrea) che corre da pedone sotto il rilevatore di velocità per vetture ...



E infine, il dottor Freiss, ruolo importante a latere della serie tv Tutti pazzi per amore 1 e 2, insieme con la stratosferica Carla Signoris:



Grazie, Battiston. A proposito, un pizzico di sano cinismo: il dottor Freiss ci prende, quando dice «in realtà, è il senso di colpa che spinge a dire la verità». E verità per verità, ha un certo non so che, il Battiston...

lunedì 24 maggio 2010

Elio Germano La nostra vita di Daniele Luchetti.rm

0 commenti

venerdì 21 maggio 2010

È tanto difficile?

2 commenti
Capisco che può rivelarsi controproducente. Una manovra impopolare.
Ma quando verrà in mente A TUTTI I PRODUTTORI di scrivere sul retro di una scatola di biscotti l'apporto calorico di ogni singolo biscotto?
E invece no: apporto calorico:
1. calcolare se dobbiamo prendere in considerazione la cifra in kcal oppure in kJ
2. il valore energetico è dato per 100 g (già, e il nostro pacco di biscotti è di 125 p. es. Vai con la matematica!)
3. dividere per il numero di biscotti...

E mammamia!
Votra (finta)Alice nel Paese delle Meraviglie

domenica 16 maggio 2010

Passeggiando al di sopra della Senna

0 commenti
 
Je tiens toujours mes promesses
qui le foto sono tutte rigorosamente mie
© Jacqueline Spaccini 2010

sabato 15 maggio 2010

Passerelle de l'Avre: a noi due

1 commenti
 ritaglio da google maps

Domattina, a noi due: un bel po' di chilometri per arrivare sulla passarella e poi sopra il fiume per arrivare dall'altra parte.

 photo by Babs Sch  [link http://www.panoramio.com]

 Già, e quando sarò arrivata a Boulogne, che farò?

giovedì 13 maggio 2010

Quando mi prende la voglia di poesia...

2 commenti
...  m'accorgo che assomiglio alla donna che non si 
assomiglia  di Pedro Salinas

Edmund Blair Leighton


Ti  sta vedendo l'altra.
Somiglia a te:
i passi, la stessa fronte accigliata,
gli stessi tacchi alti
tutti macchiati di stelle.
Quando andrete per la strada
insieme, tutte e due,
  com'è difficile sapere
  quale sei tu e quale non sei tu!
Così uguali ormai, che sarà
impossibile continuare a vivere
così, essendo tanto uguali.
E siccome tu sei la fragile,
quella che appena esiste, tenerissima,
sei tu a dover morire.
Lascerai che ti uccida,
che continui a vivere lei,
la falsa tu, menzognera,
ma a te così somigliante
che nessuno ricorderà
tranne me, ciò che eri.
E verrà un giorno
- perché verrà, sì, verrà -
in cui guardandomi negli occhi
tu vedrai
che penso a lei e che la amo:
e vedrai che non sei tu.
(da La voce a te dovuta)

venerdì 23 aprile 2010

Amo Montparnasse

1 commenti

Questa mattina sono tornata nel quartiere che più amo e nel quale ho abitato per anni, Montparnasse.
In realtà è proprio il quadrato qui sopra quel che per me è il "mio" quartiere, a cui aggiungerei solo la rue de  la Gaîté, la via dei teatri(ni), la rue Jolivet e la rue du Maine.
Dimentico sempre la macchinetta fotografica (quando serve), quindi debbo ricorrere al freddissimo google map:


scorcio della rue Delambre
Che meraviglia passeggiare (in realtà, fare la spesa) per il quartiere. Con il sole perloppiù.
E poi c'è le maître fromager, il pescivendolo con merce freschissima, i giapponesi, i danesi, gli italiani, gli hôtel che piacciono a me, i negozietti sfiziosi... Voglio andare via da Saint-Cloud!

rue de la Gaîté