perché ricordi un giorno
dei suoi anni parigini
Alessandro Jovinelli
Il cigno dal collo nero del parco
Montsouris lo chiamammo Giacomino
– soltanto noi sappiamo perché: alle sei
sibilava incontro alle tue molliche.
Fu l’anno dopo l’esca di Pauline,
la tua amica chiomadoro e precoce,
il cui occhio rimava con Albertine,
ma come ogni altra ninfa era feroce.
Il disincanto l’hai appreso come il crawl,
la fiaba con il resumé e la corsa in bici:
si ha da tirare diritti sino al termine,
vai indietro solo per ricominciare.
Non davi ai miei consigli tanto retta,
volevi dar corpo al sogno più ambito
– montando alla torre di ferro in vetta
spiasti la più nera: un monolito.
Sorpresa non avevi nel volare
né di sotto ai platani del viale
dalla prima alla terza elementare
– zaino in spalla, sempre puntuale.
Non per me riconoscesti le clizie
di Van Gogh, la donna con l’ombrellino
e le strane bagnanti d’oltremare
– la traccia materna d’ombre e figure.
Forse stava al sesto giorno il mio merito,
in fondo alla sala buia, da dove
dal brando di Obi-Wan Kenobi all’esito
trionfale d’Amélie vedesti altrove
scorrere vita sfaldando l’inganno,
l’illusione che chiamammo fiction
– en français preferivi – e la parodia
sempre più vera: il Guignol e il politico,
il lupo cattivo e la marionetta,
la marcia inventata per Arlecchino,
Patachon, il Lussemburgo e il giardino…
Forse era qui il cambio nella staffetta:
nel drappo giallorosso da noi appeso
a Montparnasse, l’anno dello scudetto,
che noi festeggiammo anche per nonno,
seduto in curva o in tribuna, lassù,
nello stesso cielo avaro di stelle,
che ci regalò un’ultima notte
di luna e oro tra i rami dell’ontano
per ricordarci che sapore aveva
Parigi arsa e offesa di là del giusto,
Parigi ora dolce nel retrogusto.
da "Sagarana" (http://www.sagarana.net/rivista/numero12/poesia14.html)
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