Questo post è per quelli che non hanno conosciuto quell'epoca. E per noi che l'abbiamo attraversata e siamo qui.
Stadio dei Marmi (Roma) |
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Innanzitutto un omaggio a Gabriella Dorio, che è stata la campionessa degli 800 metri piani (nonché di quella gara formidabilmente dura ed esaltante che all'epoca si chiamava corsa campestre), dei 1500mt e degli indoor - dei tempi miei.
Ho avuto modo di conoscere fuggevolmente Gabriella, proprio durante i campionati nazionali di corsa campestre all'Isola Liri (Cassino), quando al termine della durissima competizione (corremmo sotto una grandinata formidabile), lei vinse e io arrivai con un ramo di rovo irto di spini (di cui non m'ero accorta), impigliato nelle gambe. Che anno era? Il 1973 o il 1974, forse.
Lei stava stappando una bottiglia di spumante e festeggiando la vittoria, ma vedendomi con le gambe piene di sangue mentre mi dirigevo verso una fontanella di fortuna, si fermò, posò la bottiglia e andò a cercare dell'alcool insieme con del cotone idrofilo (all'epoca eravamo persone semplici). E mi disinfettò lei, la neocampionessa italiana, facendomi coraggio e dicendomi che non era niente, solo un po' di bruciore che sarebbe ben presto passato.
«Festeggia con me la mia vittoria», fece poi, porgendomi lo spumante in un bicchiere di plastica.
Questa è Gabriella Dorio, classe 1957, un poco più bassa di me, gli stessi chili (55), coi suoi ricci composti di ragazza campagnola del nord.
Un ricordo triste: Florence Griffith-Joyner, classe 1959. Di lei ricordo la falcata possente, con quelle cosce da centista, un fondoschiena consistente come dev'essere per chi corre quella distanza. E le unghie lunghissime, ricurve, che mi ricordavano quelle dei pappagalli e che lei laccava con rossi possenti o con blu ultramoderni. Vincitrice su tutto, tranne sulla prematura morte. Dissero che era epilessia, dissero che era il cuore che non andava. Dissero che erano le sostanze dopanti. Non so. Ma un'atleta come lei che muore all'improvviso, durante la notte, a 38 anni, mi suona come un ossimoro.
Il grande dubbio: Jarmila Kratochvilova (classe 1951) che per una vita ho pensato fosse (chissà perché) polacca. E invece era ceca. Anzi, all'epoca: cecoslovacca. E al solo vederla, tutti noi a dirci: «Ma è un uomo!», con quel fisico possente (in realtà, solo 1,70 su 68 kg), che ricordava i cavalli bretoni, da tiro, pesanti ma rapidi (tutto un ossimoro). E a chiederci: che razza di droga userà?
Sarà un caso ma il suo record nei 400 indoor che risale al 1982 è tuttora imbattuto.
Si scoprirà più tardi che le vitamine, le pillole blu date alle giovani (molte delle quali ancora minorenni) atlete DDR erano in realtà steroidi anabolizzanti (1) come il famigerato Oral-Turinabol (sarà ancora in vendita?).
Jarmila Kratochvílová |
sì, sì, sono tutte e due donne (all'epoca non ci si depilava le ascelle)
E poi c'è Marita Koch (poi Marita Koch Meier). Classe 1957, alta come le altre, 62 kg, sicuramente donna ma senza riuscire a essere femminile, atleta pressoché imbattibile di quella incredibile DDR che ci lasciava di sasso, in un'epoca in cui le sue atlete vincevano 1 oro su 3, quando eravamo affascinati dal più bell'inno nazionale (clicca qui) che abbia mai sentito, di che scattare in piedi e mettersi sull'attenti, fieri di essere tedeschi dell'Est. Il record sui 400 mt piani di Marita è tuttora imbattuto (risale al 1983). Ditemi voi.
Marita Koch (la biondina a sinistra; l'altra è la polacca Irena Ezewinska, classe 1946 alta 1,75) |
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(1) «Ancora oggi, a vent'anni dalla riunificazione, diversi ex atleti della
DDR, soffrono di cardiopatie, disfunzioni epatiche e diverse forme di
cancro. Naturalmente si parla di coloro che sono ancora in vita. Molti
campioni sono morti.» (Fonte: Laura Lucchini, La guerra fredda si vinceva con gli steroidi, L'Unità, 22/09/2010)