sabato 27 novembre 2010

I cachi: storia di un amore ricambiato

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L'amore è il mio nei confronti dell'albero dei cachi (o kaki, in francese corretto: plaquemine). Fin da quando ero bambina, la visione di questi alberelli non molto robusti, spogli di foglie ma addobbati come alberi di natale, con le palle tutte arancioni, mi ha sempre allargato il cuore e formato una parola in caratteri stampatello dentro di me: NOVEMBRE.


Ho sempre desiderato avere un albero di cachi in casa. Ma in assenza di giardino o giardinetto, è rimasto un pio desiderio.

A dire il vero, quand'ero piccola, malgrado il mio amore per l'albero, il frutto mi deludeva alquanto: o era quasi sfranto (espressione dialettale che deriva da frangere, spremere/schiacciare e che sta a indicare qualcosa che si rompe come se fosse schiacciato, generalmente rivolto a frutta) oppure allappava (altra espressione esclusivamente riservata ai cachi, clicca qui). Ma anche tutte e due le cose.

Oggi invece i cachi sono tosti, non allappano più, hanno un sapore vanigliato e discreto e non si rompono.  Mi piacciono molto quelli di provenienza israeliana, ma son troppo cari.
Senza semi, in Francia li chiamano i kaki del Giappone. In Croazia, Japanska Jabuka (mela del Giappone).Saranno pure imbastarditi, ma ora ne mangio almeno uno al giorno.


martedì 23 novembre 2010

Villerupt,che sembra una città di Ken Loach. Villerupt, mon amour.

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Come ogni anno, Villerupt ha aperto - tra la fine di ottobre e la prima metà di novembre -  la  settimana dedicata al Festival del film italiano. Villerupt è una piccola cittadina dell'Est francese, confinante con il Lussemburgo. La regione di appartenza è la Lorena, il dipartimento è quello di Meurthe-et-Moselle (54190), nome che riunisce i due fiumi, un sub-affluente (la Meurthe) e un affluente (la Moselle) del grande Reno.

Credo che sia uno dei luoghi di Francia a più alta densità di cognomi italiani. Villerupt è gemellata con la città toscana di Aulla, mentre la cittadina subito a ridosso, Audun-le-Tisch lo è con Gualdo Tadino, cittadina dell'Umbria che insieme con Gubbio ha dato moltissimi lavoratori  queste  zone, alle miniere circostanti, agli altiforni dell'usine di Micheville. E moltissimi al bâtiment, cioè all'edilizia. 

Tra di essi, mio nonno materno e mio padre, originari di Gubbio, emigrati per mancanza di lavoro in Italia. In mezzo a loro, mia madre che faceva la sarta a Thil, se non sbaglio. Tanti italiani: sardi, umbri, liguri, marchigiani, toscani, siciliani. E poi polacchi, portoghesi, magrebini.

Mio nonno materno tornò in Italia;  mio padre è tornato in Italia; alcuni miei zii sono rimasti. Io sono ritornata in Francia, ma credo che molto presto farò come i salmoni e rientrerò in Italia.

Ora gli italiani che sono lì, quelli di seconda generazione,  sfiorano la cinquantina; i giovani sono già di terza e quarta generazione. Qualcuno ha studiato l'italiano all'università, qualcun altro è andato a lavorare ben presto. Mi risulta che i miei cugini rimasti là (40-50enni) non mastichino una parola o quasi, di italiano. Che scialo.


 photo by JSpaccini


Da Villerupt, ho telefonato ai miei. Mio padre mi ha chiesto di andare a rivedere la clinica in cui sono nata. Ma è stata demolita da oltre 30 anni. Di entrare al Corona, il bar del paese. Ma non esiste più. Di salutare la nostra casetta della rue Alfred Mézières.
Ma quella proprio non ce l'ho fatta. L'ultima volta - dieci anni fa - mi è bastata.

Vabbè, al festival tornerò sul blog letterario in un altro momento.

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Dove eravamo rimasti?

Ragazzi, è un periodo che va da schifo. Sto esagerando, lo so. Tuttavia, è da un po' che lavoro molto e raccolgo poco. Scrivo scrivo ma soddisfazioni, niet.

Una cosa fastidiosa è la memoria che cala, come la vista. Per chi - come me - è sempre stato dotato di una memoria in calcestruzzo, il ferro fa ridere. Per intenderci: entrando in una classe per la prima volta, molto prima del termine dell'ora conoscevo a memoria tutti i nomi. In realtà non li imparavo proprio tutti, ma quasi. Avevo un'elaborazione mnemonica associativa impressionante. Ora se qualcuno mi interrompe, faccio fatica a ricordarmi persino che stavo parlando di andare a preparare il caffè.

Stress, si dirà. Eh, sì, sì, ma non solo.
Comunque, in questa settimana ho finito di scrivere articoli, il nuovo libro è in stampa, ho fatto quasi tutti i partiels (i compiti in classe universitari). Sto studiando per bene il ruolo a teatro e provo ad allenarmi meglio per la sevillana (che sta alla Spagna come il flamenco sta ai Gitani). Forse ci scappa un museo col coniuge.
Mo' vediamo. Magari mi viene anche da scrivere qualcosa per gli altri blog.
Buone cose a tutti.