(22 marzo 2008) photo by Jacqueline Spaccini © All rights reserved
lunedì 27 settembre 2010
Una canzone romanticheggiante
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Jacqueline Spaccini (Artemide Diana)
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12:16
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Giorgia L'Eternità,
video youtube
domenica 26 settembre 2010
Salta, mordi, vivi! Jump dei Van Halen (io c'ero e me li ricordo bene)
Cerchiamo di non essere morti.
Van Halen - Jump
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Van Halen - Jump
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Jacqueline Spaccini (Artemide Diana)
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17:40
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Jump dei Van Halen
sabato 25 settembre 2010
La mia Caen
Caen vu Par... (ses réalisateurs) Bande Annonce from RADAR-Normandie on Vimeo.
Sortie nationale le 27 novembre 2010
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Jacqueline Spaccini (Artemide Diana)
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09:59
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Caen vu par 14 réalisateurs
sabato 18 settembre 2010
La convenienza della pecora (chiacchiere attorno al desco)
O della fierezza dell'esser pecora.
Sì, sì, lo so: un ossimoro. Un pecora non può - per antonomasia - essere fiera. Ma vado a spiegare.
Qual è il passo ulteriore (ma non un passo avanti)? Il fan - nella sua versione più "accecata", quello del devoto che tutto accetta, quello che mitizza senza critica, quello che si comporta come il credente nei confronti di un dogma - opera inizialmente una proiezione che velocemente si trasforma in identificazione. Non v'è più distanza: il servo/fan sente di poter essere il padrone/divo.
Per altro, non c'è posto. Però è d'obbligo: possedere fin da giovani (e se non si possiede si ha l'impressione di essere dei poveracci, dei perdenti come si usa dire): una casa di proprietà, un'automobile, le vacanze estive (e suvvia, anche quelle invernali), cambio d'abiti di stagione (meglio se firmati), le unghie dalla manicure, i pettorali per gli uomini e il sedere alto per le donne, e chi più ne ha più ne metta.
Sì, sì, lo so: un ossimoro. Un pecora non può - per antonomasia - essere fiera. Ma vado a spiegare.
Di pecore (metaforiche, va da sé) è piena la storia. Pecore-schiave (prima di Spartacus), pecore-serve nelle società gentilizie dei secoli passati e pecore-servitrici, generazioni di persone che si son ridotte al ruolo di gente e per giunta propria sponte.
Perché?
Perché?
Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia, recita l'antico detto. Antico, troppo antico.
Le pecore di oggi hanno capito che il lupo non se le mangia: le ingrassa.
foto prelevata dal sito: http://www.valbrembanaweb.com/ |
Il «lupo» ha bisogno di fans.
La pecora sta al lupo come il fan sta al divo.
Non metto tutti nel calderone, e di certo non m'interessa qui il fan di tale o talaltro cantante, tale o talaltro attore, né sono interessata a veri lupi e a vere pecore.
Parlo di un atteggiamento aprioristico, insomma di quel servilismo moderno, di quell'autocandidatura a non assumersi responsabilità, a seguir la massa, a essere conforme. Per non sbagliare? No, per essere approvati.
Giacché è un'epoca (questa) in cui l'altrui approvazione ci restituisce uno status, se non addirittura un'identità.
Sicché se il suo idolo è criticato, sente di esser lui stesso criticato. Forte della nuova identità, non si limita a protestare, non penserà ad argomentare la sua posizione, né esporrà il proprio (si fa per dire) punto di vista.
No, il fan - novella pecora di antico (seppur neppure troppo colpevole) lupo - grazie alla provvisoria identificazione assunta, la quale gli fornisce (perlomeno ai suoi occhi) un potente seppur provvisorio (e intangibile) status, attacca: si fa aggressivo, ostenta animosità, morde. Il nostro Fracchia, da dr. Jekyll si è mutato in Mr. Hide: guai a criticare l'idolo, son parolacce, altro che parole!
Nella vita di tutti i giorni, il nostro super-eroe non ardisce nemmeno di vestire i panni di un Arlecchino servitore di due padroni. Richiederebbe troppa arguzia, un filo di intelligenza applicata.
E soprattutto occorrerebbe darsi da fare. Qui ci si dà da fare solo in palestra.
Nella vita di tutti i giorni è un Fracchia solo meno appariscente. D'altronde, che volete, è la dura legge del super-eroe.
Nella vita di tutti i giorni, costui rifugge dalle responsabilità. Un tempo, attraverso il lavoro si cercava di acquisire quella che si definisce una personalità giuridica in grado di affrancarsi (ad esempio) dalla provenienza da un ceto sociale non abbiente. Se si era dipendenti, si cercava di diventare al più presto padroni di se stessi, di non avere un capo sulla testa.
La figura del self-made man aveva cancellato la vegogna della provenienza sociale. La lotta di classe proletaria aveva restituito orgoglio a chi avesse avuto "umili natali"; la democrazia aperto i battenti delle università e dello studio in genere.
Oggi, dopo un perfetto lavaggio di cervelli propinato (non solo ma anche) dalla tv, quel che si vuole è avere una vita senza pensieri, un lavoro qualunque (e chi se ne frega se non ci piace. Chi se ne frega? Scherziamo? Facciamocelo piacere se non ci piace, ché nel lavoro viviamo oltre metà del nostro quotidiano), il week-end assicurato. Queste - per molti - sono le massime aspirazioni.
Per altro, non c'è posto. Però è d'obbligo: possedere fin da giovani (e se non si possiede si ha l'impressione di essere dei poveracci, dei perdenti come si usa dire): una casa di proprietà, un'automobile, le vacanze estive (e suvvia, anche quelle invernali), cambio d'abiti di stagione (meglio se firmati), le unghie dalla manicure, i pettorali per gli uomini e il sedere alto per le donne, e chi più ne ha più ne metta.
Intanto, il cervello è buono solo se fritto con contorno di zucchine, patate, pomodori e insalatina fresca.
Svegliamoci, non è un problema solo italiano.
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Jacqueline Spaccini (Artemide Diana)
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14:33
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l'orgoglio dei Fracchia,
pecore soddisfatte
venerdì 17 settembre 2010
Cose che capitano nel mio palazzo (cronistoria in guisa di raccontino)
Ieri sera abbiamo avuto visite. Polizia e pompieri con la scala a salir fin sull'ultimo piano.
Apro la finestra e mi rivolgo agli agenti chiedendo che cosa succede. Il più anziano (si fa per dire) di loro mi dice che la signora dell'ultimo piano sono mesi che non si vede più in giro, la posta che la gardienne distribuisce sotto al tappetino assomiglia alle torri gemelle di antica e sfortunata memoria (sì questo l'ho aggiunto io), insomma si è accumulata, nel mese di agosto il fratello della signora ha chiamato per avvisare che un altro fratello è morto in un incidente stradale ma lei non ha risposto al telefono... E insomma, si teme il peggio.
Sarò cinica: io cattivi odori non ne ho sentiti in questi mesi. Quindi... E sarò anche più spietata: io questa signora dell'ultimo piano non ce l'ho proprio in mente.
Rompono i vetri del terrazzo, entrano. Ridiscendono, l'appartamento è vuoto. Tant mieux. C'est mieux.
Che fine ha fatto la signora dell'ultimo piano? Perché il fratello superstite non si è precipitato qui in casa? Come mai non è stato lanciato un avis de recherche? È mai possibile che una persona dotata di familiari possa stare in silenzio per mesi senza che nessuno se ne accorga? E dov'è andata? E perché mio figlio la ricorda (la signora che non risponde mai al suo Bonjour, Madame, quella - dice lui - che lo guarda di traverso)?
Oggi vedo la gardienne farmi cenno dal cortile. Io la vedo dalla finestra mentre sto tagliando l'agnello appena tirato fuori dal forno, è il compleanno di mio marito. Dico che la cerco dopo, lei mi dice che tra poco arriva il syndic (l'amministratore) e di nuovo polizia + pompieri. Ha avuto un'idea: e se la signora dell'ultimo piano fosse nella cantina?
Mangiamo, brindiamo, tagliamo la torta di meringhe con lamponi. In cantina? Chiusa a chiave? Un suicidio? Però è vero che c'è un cattivo odore da un po' di tempo. Avevo pensato a pipì di cane o di gatto.
15 minuti dopo l'arrivo dei poliziotti, apro la porta e vedo una donna sui 75 anni, coi capelli belli e bianchissimi, smagrita e altera che arrogantemente apostrofa i poliziotti dicendo loro che li citerà per danni. La signora dell'ultimo piano.
Parlo con la gentile gardienne che si era preoccupata per lei. Lei racconta che a quanto pare la signora ha vissuto in questi ultimi due mesi chiusa in cantina, nutrendosi soltanto (a suo dire) di un cesto di mele che aveva portato dabbasso. Racconta che ci si è rinchiusa deliberatamente perché il mondo è cattivo, nel palazzo ce l'hanno tutti con lei e che si pratica la magia nera contro di lei. I poliziotti l'hanno imbarcata nel furgone, destinazione ospedale reparto psichiatria.
Ho abbracciato e ringraziato la gardienne per la sua premura. Non l'ha fatto nessuno. Di certo, non l'ha fatto la strampalata e arrogante signora-bene divenuta una silfide nel frattempo.
olio di Michele Tanzi |
Un cesto di mele = meno 30 kg. Bella cura dimagrante.
Sarà vero? Per me quella usciva di notte e saliva in casa.
Sarà vero? Per me quella usciva di notte e saliva in casa.
Bello scherzo, signora dell'ultimo piano.
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Jacqueline Spaccini (Artemide Diana)
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23:41
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cronistoria in guisa di raccontino
La lettera aperta di Armando Gnisci ai suoi allievi: un addio e un arrivederci
pubblicata da Mia Lecomte il giorno martedì 14 settembre 2010 alle ore 16.57 su facebook
6 settembre 2010
Cari Studenti,
bentornati, e benvenuti ai nuovi iscritti.
Dal primo novembre del 2010 non mi troverete più tra i vostri docenti, perché ho deciso di andare in pensione anticipatamente dando le dimissioni volontarie dall'università.
Ci tengo a comunicarvi ufficialmente e sinceramente questa notizia perché sappiate con chiarezza e certezza il motivo della mia sparizione. Viviamo, infatti, in un'epoca in cui la menzogna, la volgarità e l'oblio informano la comunicazione e formano addirittura la nostra educazione.
Continuo altrove e altrimenti a lavorare per la giustizia e la compassione mediante il sapere umanistico.
Vi saluto assicurandovi che l'unica parte dell'università dalla quale non mi sono dimesso è la vostra. Anche se non mi avrete mai incontrato e conosciuto.
La parte migliore della mia lunga carriera accademica è segnata, infatti, dai 4 anni di formazione in Filosofia presso la nostra Facoltà, dal 1964 al 1968. Allora ho vissuto la sapienza come un convivio e una famiglia. Nella educazione alla conoscenza con gioia, rispetto e speranza. Insieme ai miei indimenticabili compagni di studio e ai nostri maestri. Voglio ricordarvi i nomi per me più importanti tra loro: Emilio Garroni, Guido Calogero e Tullio De Mauro; Santo Mazzarino e Arsenio Frugoni; Giulio Carlo Argan e Walter Binni.
Poi, per quaranta anni, ho vissuto la professione accademica come uno straniero in terra straniera. Tanto che mi sono sentito più ad agio nelle università spagnole e egiziane, statunitensi e slovacche, giapponesi e argentine, che in quelle patrie.
È per questo motivo che considero ancora, e sempre, la condizione studentesca come quella più fortunata nell'università. E perciò ho sentito in questi anni voi come i miei veri colleghi.
Anche se proprio per voi, è diventato sempre più difficile vivere questo luogo come sede della conoscenza, della familiarità, del rispetto e della gioia.
Vi chiedo, in ultimo, di non perdere speranza, in voi stessi e nella comune repubblica, che sembra tramontare sull'orizzonte civile degli italiani, invece che venirci incontro come "il sole dell'avvenire". Sappiate che solo voi potete ogni volta che lo vogliate far risorgere il desiderio e il fervore di un "brave new world", come scrive Shakespeare ne La Tempesta. L'utopia di un "meraviglioso mondo nuovo", al quale tutti abbiamo diritto. E per il quale serviamo noi letterati: per poterlo immaginare e tradurre. E per indicarlo come il valore finale di una educazione che non può finire mai, come ci hanno insegnato i nostri antenati latini.
Scrivetemi, se volete. Vale.
armando gnisci
Cari Studenti,
bentornati, e benvenuti ai nuovi iscritti.
Dal primo novembre del 2010 non mi troverete più tra i vostri docenti, perché ho deciso di andare in pensione anticipatamente dando le dimissioni volontarie dall'università.
Ci tengo a comunicarvi ufficialmente e sinceramente questa notizia perché sappiate con chiarezza e certezza il motivo della mia sparizione. Viviamo, infatti, in un'epoca in cui la menzogna, la volgarità e l'oblio informano la comunicazione e formano addirittura la nostra educazione.
Continuo altrove e altrimenti a lavorare per la giustizia e la compassione mediante il sapere umanistico.
Vi saluto assicurandovi che l'unica parte dell'università dalla quale non mi sono dimesso è la vostra. Anche se non mi avrete mai incontrato e conosciuto.
La parte migliore della mia lunga carriera accademica è segnata, infatti, dai 4 anni di formazione in Filosofia presso la nostra Facoltà, dal 1964 al 1968. Allora ho vissuto la sapienza come un convivio e una famiglia. Nella educazione alla conoscenza con gioia, rispetto e speranza. Insieme ai miei indimenticabili compagni di studio e ai nostri maestri. Voglio ricordarvi i nomi per me più importanti tra loro: Emilio Garroni, Guido Calogero e Tullio De Mauro; Santo Mazzarino e Arsenio Frugoni; Giulio Carlo Argan e Walter Binni.
Poi, per quaranta anni, ho vissuto la professione accademica come uno straniero in terra straniera. Tanto che mi sono sentito più ad agio nelle università spagnole e egiziane, statunitensi e slovacche, giapponesi e argentine, che in quelle patrie.
È per questo motivo che considero ancora, e sempre, la condizione studentesca come quella più fortunata nell'università. E perciò ho sentito in questi anni voi come i miei veri colleghi.
Anche se proprio per voi, è diventato sempre più difficile vivere questo luogo come sede della conoscenza, della familiarità, del rispetto e della gioia.
Vi chiedo, in ultimo, di non perdere speranza, in voi stessi e nella comune repubblica, che sembra tramontare sull'orizzonte civile degli italiani, invece che venirci incontro come "il sole dell'avvenire". Sappiate che solo voi potete ogni volta che lo vogliate far risorgere il desiderio e il fervore di un "brave new world", come scrive Shakespeare ne La Tempesta. L'utopia di un "meraviglioso mondo nuovo", al quale tutti abbiamo diritto. E per il quale serviamo noi letterati: per poterlo immaginare e tradurre. E per indicarlo come il valore finale di una educazione che non può finire mai, come ci hanno insegnato i nostri antenati latini.
Scrivetemi, se volete. Vale.
armando gnisci
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Jacqueline Spaccini (Artemide Diana)
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08:24
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