lunedì 30 giugno 2008

Perché amo certi uomini, certi personaggi...

La vita è una favola come un'altra.
Ma è la tua favola.


Rivendico la critica che mi è sempre stata rivolta: soffri della sindrome della principessa sul pisello!

Sarà perché amo questi personaggi, questi uomini.

Anzi, un uomo che è come questi personaggi:

Leopold:



Mr. Darcy:





P.S. Infatti non mi risulta che nessuno di loro sapesse avviare una lavatrice, lavare bene i piatti, compilare un assegno in tutte le sue parti, comprare un biglietto d'aereo via internet, etc etc.
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Curiosità: Hugh Jackman [Leopold] è alto 1.89 m; Matthew Macfadyen [Mr. Darcy] è alto 1,90 m.
Il mio principe è alto 1,87 m. Tanto per dare ulteriore senso alla cosa...

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L'anno accademico volge al termine

photo by @rteJS

Ecco, ci siamo quasi. Il 4 luglio c'è la riunione per le délibérations (i voti per gli studenti), l'assegnazione dei corsi per il prossimo a.a. con relativi descriptifs e poi si andrà in vacanza.

Percorrerò la rue Froide della foto un'ultima volta prima di settembre.

E già penso al percorso in auto che mi attende fino alla casa italiana, da sola con figlio e cane al seguito.

Vorrei fare sosta (se le forze me lo consentiranno) ad Aosta - anzi a Pré-St. Didier -, nell'alberghetto in cui fu concepito nostro figlio, per mostrargli i luoghi di lui-semino.

Chissà se ci riuscirò.

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P.S. Notizia dell'ultima ora: il mio Leopold Mr. Darcy sarà con me ad accompagnarmi nella traversata.


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sabato 28 giugno 2008

La mia "Nora" : Ileana Ghione

foto tratta dal sito internet http://www.ghione.it/Archivi/Ileana/paginaILEANA.html


L'avevo vista, più giovane, in tv. La volli rivedere nel suo teatro, la bomboniera (come veniva chiamato il teatrino in via delle Fornaci, 37), quando fisicamente parlando non era proprio più credibile che fosse lei la lodoletta, il lucherino di Ibsen.

Per me, la Nora di Casa di bambola sarà per sempre lei.
Quel personaggio che s'iscrive nel solco di Nostra Dea, ma ne esce con dignità e spessore. La donna che si afferma davanti alla società prima ancora al marito. Colei che prende coscienza.
Puzza di femminismo, lo so, ma non credo che Ibsen possa essere tacciato come tale.

E' morta come Molière: in scena, nel suo teatro, il 3 dicembre 2005, a 74 anni (Molière era più giovane, ma eran altri tempi).

Registi: Omaggio a Ernest Lubitsch

Lubitsch: un tedesco, anch'egli ebreo, che fece fortuna a Los Angeles (pare fosse stato invitato in America da Mary Pickford, nel '22) e che era apprezzato anche da Wilder (cfr. post sottostante).

Ecco, di tutti i film loufoques che di lui si ricordano (e sono tanti), io scelgo di non parlare di nessuno di loro, bensì dell'unico film drammatico suo (l'ho visto iersera in DVD): Broken Lullaby/ The Man I killed (1932, L'homme que j'ai tué/L'uomo che ho ucciso).

Vi propongo l'unico brano del film disponibile su youtube, in cui è chiara l'opinione che il regista si è fatto dei conflitti bellici (anche se mette in scena la prima e non la seconda guerra mondiale):



E vi racconto il plot:

La guerra è finita da un anno. Bene o male, la vita riprende per coloro i quali sono sopravvissuti. Ma Paul, un giovane musicista parigino (Philip Holmes) non riesce a darsi pace: ha ucciso un solo uomo, un inerme soldato tedesco in trincea, mentre costui era intento a scrivere una lettera alla fidanzata Elsa sull'insensatezza della guerra.
In preda ai rimorsi cui la fede non riesce a porre riparo, Paul decide infine di recarsi in Germania e di chiedere perdono ai genitori (Lionel Barrymore, nel ruolo del padre tedesco, il Doktor Holderlin). Inutile dire che non vi riuscirà e che si innamorerà - ricambiato - di Elsa (Nancy Carrol).
Paul prende piano piano il posto del giovane soldato nel cuore dei genitori e della ragazza.
Ma la coscienza non gli dà tregua...

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P.S. Credo che Broken Lullaby significhi note spezzate (violinista Paul e il giovane ucciso, pianista Elsa. Nessuno dei tre - il secondo per evidenti motivi - riesce più a suonare il benché minimo brano musicale: La musica se n'è andata via, urla Paul al suo confessore).

Registi: Hommage à Billy Wilder

Billy Wilder: come dimenticare Viale del Tramonto, Sabrina, A qualcuno piace caldo, Irma la dolce, L'appartamento, Prima pagina?

Questo austriaco ebreo fuggito negli States per via delle leggi razziali ha fotografato con simpatia un'America che ha riempito di allegria la mia adolescenza (eccezion fatta per Viale del Tramonto, certo).




Ed ora godetevi il bel documentario (è in francese) che ripercorre la sua vita.

venerdì 27 giugno 2008

Tout le monde contre Marc Levy

Cominciamo dall'inizio: chi è Marc Levy (senza accento)?

foto tratta da internet

Un bell'uomo. E che cos'altro? Uno scrittore.
Uno scrittore di successo. Uno scrittore che ha un immenso successo.
Il 90% dei suoi lettori sono donne.

Non ha sempre fatto lo scrittore. Prima faceva l'architetto. A New York.
Otto anni fa si è trasferito a Londra, dove tuttora abita nel quartiere francese.

Da 8 anni, sforna un romanzo dietro l'altro. Ed ogni volta che pubblica, il suo è il libro più venduto nelle classifiche annuali.

E allora?
E allora la critica lo stronca, gli spezza le reni. Ogni volta.

Peggio che mai, Spielberg comprò i diritti del suo primo romanzo Et si c'était vrai? (Se solo fosse vero, in Italia) e ne fece fare un film (une broutille, a dire il vero).
Quasi tutti i periodici rifiutano di accordargli posto, di fare la recensione dei suoi romanzi, in ultima istanza di intervistarlo.

Quando, nel 2006, uscì il film Odette Toulemonde (cfr. post dedicato al fim), il cui coprotagonista maschile è uno scrittore, ebbi la netta sensazione che il personaggio di Albert Dupontel si rifacesse a Marc Levy.

Ora, la sorella di lui, Lorraine, sta girando un film tratto dal romanzo Mes amis, mes amours. Con attori francesi. Chissà che dirà la critica ora.

Qui vivra verra. Ce ne sont que des broutilles.

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P.S. Ricordo la sagacia di Pascal Fioretto che in un suo recente pastiche ha imitato alla perfezione (o quasi) lo stile di Marc: Et si c'était niais?.

Pascal Fioretto by @rteJS

Carmen o dell'amore che distrugge

Come nasce e muore un amore

Alcuni estratti della Carmen di Bizet trasposta cinematograficamente da Francesco Rosi (1984).

Lascio deliberatamente da parte Escamillo e Micaela.

Io l'ho sempre interpretata, in un altro modo, la storia d'amore tra Carmen (Julia Migenes) e Don José (Placido Domingo).

1. Près des remparts de Séville:



2. La fleur que tu m'avais jetée:



3. Il est temps encore (e invece no, finisce lì):



Out : Habanera

Luoghi non abbastanza conosciuti: l'Auvergne


L'AUVERGNE

(come al solito, cliccando sui nomi sottolineati, si possono vedere le foto)

E' una regione stupenda e ancora poco frequentata dai turisti. C'è chi la conosce per il Tour de France (per il terribile Puy-de-Dôme, 1415 mt di altitudine) e chi per luogo deputato alla cura delle malattie respiratorie. Già, perché esiste anche il turismo dei bambini affetti da allergie, asma ed eczema (le terme di Mont Dore e di La Bouboule). Sicché si ha l'impressione di vivere in un luogo da fiaba (qualcosa come il Paese dei Balocchi): tutto è a misura dei fanciulli.
foto tratta dal sito: http:// www.parcfenestre.com

C'è chi la conosce infine unicamente per i suoi vulcani verdeggianti e qualcun altro per i coltelli di Thiers.

Io l'Auvergne la conosco per il suo parco Fenestre, cui un tempo si accedeva grazie al tramway, il meraviglioso lago Pavin, le fattorie ove acquistare e degustare i formaggi a.o.c. le Saint-Nectaire, la Fourme d'Ambert e il Cantal.

foto tratta dal sito http://www.unpieddevantlautre.free.fr

E non dimentico la cordialità della gente, l'Hôtel des Anglais (un alberghetto da niente, ma pieno di charme).
Lamponi, mirtilli e fragole, liberamente disponibili lungo i sentieri delle vostre passeggiate.
Pioggia, tanta.

E dire che c'è chi va fino in Irlanda...
L'Auvergne è a due passi. E costa poco.


foto tratta dalsito http://www.french-property.com/agents/auvergne-a-vendre/

P.S. Stavo dimenticando la Santa Mamma, cui mi lega un ricordo a B., A. e il piccolo R.

mercoledì 25 giugno 2008

A la plage de Ouistreham


Eh sì. Ci siamo andati poi a Ouistreham, sulla spiaggia per il nostro apéro.


E l'aria era così dolce, il vento solo brezza, i sorrisi quelli che si danno con la consapevolezza che forse stiamo tutti e quattro insieme e spensierati per l'ultima volta...

Alle nove e mezza di sera, c'era ancora il sole (offuscato, ma c'era) e avevamo un po' fame, malgrado olive patatine e lo champagne di birra.


Moules-frites (con granchietti) in serata. Galeffi in nottata.

Credits: photos by @rteJS (it's me)

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Sul perché Fred Vargas ha successo...


Cliccando sui nomi sottolineati, si hanno le immagini

Fred Vargas

Ne ho letti parecchi, di romanzi suoi. Non mi sono piaciuti tutti, ma riconosco che ha uno stile personale, la Vargas.

Prediligo i policiers che vedono come protagonista il commissario Jean-Baptiste Adamsberg e la saga dei suoi flics: Danglard, Justin, Retancourt, Noël, Voisinet, e perché no, il divisionnaire Brézillon. Chi non sopporto proprio, è Camille, la donna amata ma anche no, del nostro Adamsberg (cui ho sempre prestato i tratti di Jean-Hugues Anglade).

Ho visto pure i film, ma – a parte la ricerca dell’altezza (anzi, della bassezza) del commissario (Anglade, appunto, e José Garcia) e nel caso di Garcia anche la provenienza (è parigino, ma figlio di spagnoli - il commissario Adamsberg è originario dei Pirenei francesi) la fattura dei film lascia molto a desiderare. Neanche all’altezza di un buon sceneggiato televisivo.

Torniamo ai romanzi, allora. Perché piace così tanto, la scrittrice parigina che si firma con un nom de plume maschile preso in prestito da un film con Ava Gardner?

Innanzitutto, per la consistenza dei personaggi di secondo piano (cui si può imputare la loro eccessiva eccezionalità, lo straripamento dell’immagine da «santino» che l’autrice distribuisce a piene mani). C’è densità, ad ogni buon conto. E c’è contrapposizione, come sempre occorre in un buon policier tra il protagonista e la sua spalla. Come si staglierebbe dal fondale di scena uno Sherlock Holmes se non ci fosse un dott. Watson? Adamsberg è puro intuito, uomo insaisissable, impossibile à cerner, sfuggente, imprevedibile tanto quanto il suo capitano Adrien Danglard (anche qui due interpreti: meglio di Lucas Delvaux, secondo me - fisiodiegeticamente parlando - è Jacques Spiesser) è tutto logica, pesantezza, poco acume e razionalità prevedibilissima.

A mio avviso, tuttavia, uno dei motivi che attraggono le lettrici (e mi ci metto anch’io nel novero) di Fred Vargas è quel côté femminile che ha Jean-Baptiste Adamsberg. Ignoro la percentuale maschile del pubblico vargasiano, ma forse non sono lontana dal vero se dico che l’80% è costituito da donne.

Che cosa, dunque, questo commissario possiede di femminile (e qui bisognerebbe aprire una parentesi lunghissima su ciò che una donna ritiene femminile, rispetto all’idea che può farsene un uomo)?

Prendo – non troppo a caso – un passaggio tratto da Sous les vents de Neptune (2004, Sotto i venti di Nettuno), laddove il lieutenant Violette Retancourt muove - a mo’ di rimprovero al suo capo in crisi di identità - quanto segue (traduco):

«Ammiravo [in lei, commissario, n.d.r.]– come tutti – l’intuizione, ma non quel suo distacco che si accordava, non quel modo di disinteressarsi delle opinioni dei suoi sottoposti, ascoltandoli solo a metà. Non quell’isolamento noncurante, quell’indifferenza quasi impermeabile. Ma mi spiego male. Le dune del deserto sono cedevoli e morbida è la loro sabbia, ma per colui che l’attraversa, il deserto è arido.

L’uomo lo sa, che lo percorre ma che non può viverci. Il deserto non si concede.»

Poco femminile? Certo, se a leggere queste righe è un uomo. La donna è un’isola. Qui c’è scritto deserto. Ma la differenza è minima.

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Postilla: sceneggiatura e dialoghi del telefilm Sous les vents de Neptune sono di Emmanuel Carrère che conosco (per averlo intervistato) come bravo scrittore. Dovrò un po' rivedere il giudizio forse un po' severo.



sabato 21 giugno 2008

Un jardin au pied de la mairie


Bertrand Delanoë l'ha voluto fare: così, ora d'inverno abbiamo la pista di pattinaggio su ghiaccio e d'estate un giardino effimero, sulla grande piazza dell'Hôtel de Ville (4e arrondissement).

450 alberi (che non fanno un briciolo di ombra), qualche arbusto e molte altre piante, delle panchine, qualche vigilante. Dopo il 17 agosto tutta questa vegetazione verrà ri-piantata altrove (nei giardini veri).

E' più bella, ora, la piazza? A me pare di no.
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La Fête de la Musique

Me ne stavo seduta in un caffè, di quelli dove ti preparano il kebab (clicca qui se non sai cos'è).

A dieta, avevo preso un'insalata con tonno, pomodori, uova sode, olive e peperoni (ma avevo avuto l'accortezza di farmi togliere la cipolla), una coca in lattina, un caffè serré (per dopo).

Leggevo il mio romanzetto (non posso dire di chi, sennò Yossarian mi ammazza) e mandavo sms al coniuge e agli amici.

Afa e caldo über alles, ma io me ne stavo all'ombra, sotto a quegli alberi che vedete qui sotto, dietro ai musicisti.

I quali sono arrivati in religioso silenzio e dopo un minuto hanno "attaccato" con musiche spagnole coinvolgenti.

E bravi!



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venerdì 20 giugno 2008

I fannulloni della cultura italiana all'estero (R. Chiaberge): una risposta


Il 14 giugno 2008 nelle pagine del Sole24ore, il giornalista Riccardo Chiaberge dedica un lungo articolo (se vuoi leggerlo, clicca qui) agli Istituti Italiani di Cultura, definendo fannulloni coloro che in essi operano (particolarmente gli addetti culturali).

Non mi sento nullamente coinvolta dalla critica, ma accolgo volentieri qui la ugualmente lunga risposta di un sedicente fannullone (ma decido di mettere le iniziali di colui che la firma) :


Gentile Riccardo Chiaberge,

ho letto con qualche giorno di ritardo il suo articolo pubblicato sul “Sole 24 Ore” domenica scorsa, il 15 giugno.

Non entro nella polemica da lei aperta: faccio parte della categoria degli “addetti culturali” che il titolo del suo articolo classifica e sistema sotto l’etichetta dei “fannulloni della cultura italiana all’estero”. Immagino che lei avrà ricevuto e riceverà una serie di risposte indignate da parte di colleghi molto più autorevoli di me, nonché da parte dei rappresentanti delle istituzioni coinvolte, a cominciare dal ministero degli esteri. Ma a me sinceramente l’indignazione non interessa, anche perché lei è liberissimo di pensare e scrivere quel che ha pensato e scritto di noi, come lo sarebbe con ogni altra categoria. Fra l’altro, io non mi sono riconosciuto nel suo ritratto critico – e quindi la cosa non mi toccherebbe. Tutt’al più, – fossimo ancora nell’Ottocento – potrei mandarle un biglietto con il perentorio “sono a sua disposizione”, seguito non già dall’invio dei miei padrini, ma da un altro invio, più civile e più mite: il mio curriculum vitae, i volumi e i testi che ho pubblicato (in tre lingue), e così via. Insomma potrei tranquillamente collocarmi nella scarna lista dei giusti, quelle eccezioni alle quali lei stesso - bontà sua - si riferisce alla fine, e quindi lasciar perdere. Se penso poi a tutti i concorsi che ho dovuto superare per arrivare qui – senza che nessun mecenate politico mi prendesse in carico, come lei sospetta di noi, e mi spedisse nel mondo, ma ogni volta lasciando che altri valutassero le mie competenze e la mia preparazione – potrei starmene tranquillo in mezzo agli altri “funzionari colti e valorosi” e ripetermi il monologo dell’Enrico V: we happy few. Tanto più che qualche ragione per abbandonare al suo destino la categoria cui appartengo, forse anch’io ce l’avrei, visto che – malgrado tutta la cultura e tutto il valore che mi attribuisco immodestamente – or è qualche giorno che mi sono visto preferire altri colleghi nell’attribuzione dei posti disponibili e per i quali avevo presentato una regolare domanda di assegnazione, a mio parere molto ben documentata. E dunque… le sue parole le avrei potuto leggere con un sorriso – amaro quanto si vuole, ma pur sempre compiacente, tipo: ce li meritiamo certi attacchi, per quanto pesanti e sopra le righe possano sembrarci, ben ci sta!

E invece, eccomi qui a scriverle e domandarle: ma che cosa è successo a questo paese? Sì, dico: a noi italiani. Che cosa siamo diventati? Senta, non voglio venire a casa sua e mettermi a farle la predica – neanche fossi fra Cristoforo al capitolo VI dei "Promessi sposi". Però, consenta di chiedere a uno dei suoi lettori, cioè pur sempre a qualcuno che – da diversi anni – la conosce, la segue, la stima e l’apprezza per quel che scrive e per come lo fa: che cosa le è successo? ma com'è diventato? Perché da qualche parte ci deve essere una spiegazione perché anche una persona del suo stile e della sua raffinatezza si sia messa a sparare nel mucchio, a bandire una crociata contro un gruppo sociale, ad agitare le armi della giustizia sommaria e per di più usando un linguaggio inquietante. Domando: ma lei si è riletto? La prego, lo faccia adesso. Rilegga certi passaggi come “Per lo più sanno poco della cultura del loro paese e meno ancora del paese in cui si trovano…” oppure come “Alcuni di questi signori girano il mondo da vent’anni… e magari non parlano nemmeno la lingua del posto…” Rilegga poi la climax: “Sono i Rom della cultura, un’emergenza per l’erario che il ministro Brunetta dovrebbe affrontare con la stessa ‘tolleranza zero’ che si usa per i campi nomadi”. Ecco, lì – mi tolga una curiosità – a chi pensava: forse a un ranger alla Chuck Norris, oppure al celebre sindaco Giuliani, oppure al nostro Calderoli? In ogni caso, mi par di capire che per lei le maniere forti vadano sempre bene, o no? Forse non le sembra un tantino di cattivo gusto usare “Rom” in un’accezione così negativa? Lei avrà letto sicuramente l’ultima bustina di Umberto Eco con ampie citazioni da Lombroso e dalla “Difesa della razza”. Non le verrebbe da sobbalzare sulla sedia, se io - utilizzando il suo modo di esprimersi - la ponessi in una relazione intertestuale con questi sciagurati antecedenti?

Esagererei, probabilmente lei non ce l’aveva con gli zingari (ma semmai con noialtri: e va bene, questo non c’entra niente con il razzismo, essendo la sua opinione non solo legittima ma anche “politically correct”). Per quanto, per quanto… C’è un altro passaggio molto più allarmante dello stesso “Rom” da lei adoperato come un insulto. Lo sa qual è? E’ quando lei scrive, a proposito dei contrattisti: “molti sposano indigeni o indigene e si fanno una famiglia in loco”. Ora è chiaro che lei usa il sostantivo “indigeno” nel senso di “autoctono”, quindi senza alcuna intenzione negativa. Tuttavia la frase, per come è costruita, mi ha lasciato un'impressione molto sgradevole – forse sarà colpa mia, ma io ho sentito un tintinnio di catenine ed ho intravisto zanzariere, palme e danze tribali con i bianchi minacciati e/o sedotti dai selvaggi. Non aveva nessun altro termine linguistico da impiegare al posto di questo? E che c'entrano i matrimoni con i "nativi" - neanche gli istituti italiani di cultura dovessero promuovere la purezza della razza e combattere il "meticciato"?

Potrei continuare nel mio elenco di domande, ma non voglio tediarla ancora. Il senso della mia lettera l'ho già esposto: trovo sconcertanti le sue parole, perché mi confermano in una sensazione - non dico una diagnosi - sul male profondo che ha ormai aggredito il nostro corpo sociale: in questo senso, il suo articolo è un sintomo della patologia in atto - quella stessa che ci porta ad approvare la militarizzazione delle nostre città (in senso letterale) e la criminalizzazione delle frange sociali "a rischio". Del resto, il titolo (certo redazionale, per carità) lo lasciava subito capire. Se non ricordo male, nel suo fortunato saggio Ichino proponeva un intervento mirato contro i nullafacenti nella pubblica amministrazione: l'1% all'anno da individuare con una strategia di attenta chirurgia sociale. Nelle sue mani la terapia diventa una cura da cavallo: i fannulloni compongono il 99% del personale degli IIC (gli addetti e i contrattisti). Dunque, mano alle idrovore, alla scopa, alla profilassi di massa - "tolleranza zero", appunto. Con che sostituire un tale esercito di scansafatiche e detrattori del genio italico, lei non lo dice - ma, d'altra parte, come potemmo pretendere di saperlo leggendo un articolo? La stampa è fatta per denunciare - è ovvio -, spetta poi al legislatore, o meglio al governo - oggi l'evocato ed invocato ministro Brunetta, manco Frattini come sarebbe stato più naturale - il compito di risolvere il problema. Nella guerra sociale l'importante è spararla grossa, ovvero soddisfare il (ri)nato istinto giustizialista ed il (mai morto) desiderio di un potere forte, intransigente, duro - il resto si vedrà.

Chiudo, altrimenti le faccio una predica proprio come fra Cristoforo. Ma prima di salutarla, giro a lei la stessa domanda che Nanni Moretti rivolgeva al critico cinematografico che aveva pubblicato l'articolo sul film che lui era andato a vedere - l'inguardabile "Harry pioggia di sangue". Ci pensi un attimo anche lei: Rom della cultura, tolleranza zero, sposano indigeni o indigene... Come diceva Moretti? "Ecco: chi scrive queste cose, non è che la sera, magari prima di addormentarsi, ha un momento di rimorso?"

Con i migliori auguri per il suo lavoro,
A. I.


Le Béaba "R"


I professori (gli studenti e talvolta anche il personale della biblioteca) quando hanno voglia di un pranzo veloce ma sympa, vanno al Béabar (mai capito se Béa sta per Béatrice + Bar + R dal nome del ragazzo* che vedete in secondo piano con la maglietta marron glacé).

Sono tutti carini - cool, dicono gli studenti - e i piatti unici invitanti: il mio è un croque-monsieur al salmone con cornichons e accompagnamento di frites e insalata, una birretta, un caffè serré all'italiana (il giovane della foto è un ex studente del nostro dipartimento e si diletta a mettere frasi di italico idioma qua e là nel suo parlare).

Dopo il Nucléon (cfr. un vecchio post: clicca qui), luogo deputato per la colazione, viene il Béabar, che all'occorrenza si presta anche a solarium, naturale (quando c'è il sole) e gratuito.

* Per controversie sul nome, cfr. commenti.

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giovedì 19 giugno 2008

Angoli e prospettive























photo by @rteJs
Questo è un angolo di Caen.

Per vederlo, bisogna penetrare in un cortile, oltre una galleria.
Poi c'è QUEL cancello chiuso.
E mi vien fatto di pensare a una cosa che ho detto a un amico oggi:

ho voglia di esser lieve.

Invece, mi sa tanto che son diventata superficiale.
(E che quel cancello non lo varco perché non ho le chiavi)
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Intorno alla Gare St-Lazare


I treni partono. Non partono. Forse ora partono.
E intanto, intorno alla stazione di Saint-Lazare, il traffico riempie le strade; i bus sono stracolmi, c'è chi va in bici, chi risale la via con una smorfia di disappunto disegnata in volto, chi si distrae e guarda chissà dove e verso chi...
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martedì 17 giugno 2008

Oggi ho letto il blog di un ragazzo...


... che non c'è più.
Fabio.
Se n'è andato a 17 anni.
Fa male.



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Il suo blog

Dubrovnik, ieri e oggi

A guerra finita, prima del relook d'ordinanza (è pur sempre una delle città più amate e visitate della Croazia), a Dubrovnik si potevano ancora vedere i segni della recente guerra:



Oggi, probabilmente (ma manco da 4 anni e potrei sbagliarmi, quindi diciamo che a me), l'immagine che questa città restituisce è quella della spiaggetta della Tabaccheria:


(La spiaggetta si trova vicino all'università di Lettere e Filosofia. Vi si accede da quello che apparentemente sembra il cancello di un'abitazione privata. Si scendono le scalette... et voilà.)

lunedì 16 giugno 2008

Normandia selvaggia


(No, non è casa mia. Magari)


(Via che porta alla spiaggia)



Da mercoledì mi trasferisco
(per lavoro e per una settimana)
in Normandia.

Se il tempo è clemente,
andrò a distendermi sulla spiaggia
di Ouistreham, la selvaggia.

A me, il XVIe arrondissement...


Proprio non piace.
Però la foto - scattata all'uscita del M° La Muette -
è bellina.
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Anche i treni francesi arrivano in ritardo...


E poi - su richiesta - la SNCF ti invia il rimborso di 5,10€.
(Non ci sprechiamo, eh!)

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domenica 15 giugno 2008

Canzoni ripescate dal passato e chiacchiericcio

Sylvie Vartan, la bulgara naturalizzata francese. Quando cantava anche in italiano...

Irresistibilmente:



Come un ragazzo:



Comme un garçon (version française) :



E poi con (l'allora marito) Johnny Hallyday, l'ultima volta insieme, nel 1980:

sabato 14 giugno 2008

La Scuola di Hlebine (i pittori naif croati)


Se una mattina, poco dopo le dieci, di una domenica uggiosa, ti recassi al Hrvatski Muzej Naivne Umjetnosti (Museo croato dell'arte naif del '900), per sole 10 kune (= 3€) o giù di lì, potresti contemplare quanto di più bello questa corrente pittorica abbia prodotto.

Poca gente che gira, su nella città vecchia zagabrese; una manciata di sale tutte per te che, rimirando le tele suggestive di - che so? - (clicca sui nomi):


Ivan Generalic' (di questa, ho la stampa in casa), Josip Generalic', di Ivan Lackovic' e di Ivan Rabuzin,

e a dispetto del tempo, contento contento te ne torneresti a casa.

Hommage à la chanson française d'antan


Oggi faccio la mia cucina.
E inserisco in questa pagina canzoni francesi
legate ai miei ricordi.
Per ascoltarle, clicca sui nomi degli interpreti.

Il primo omaggio va a Georges Brassens. La canzone in questione, Auprès de mon arbre, arriva dopo qualche minuto...

Il secondo a Jacques Brel. La valse à mille temps.

Il terzo a a Léo Ferré. Avec le temps.

Il quarto a Dalida. Fini la comédie (struggente).


Il quinto a Claude François. Le mal aimé.


Il sesto a Charles Aznavour. Comme ils disent.

Il settimo, nonché ultimo, a Edith Piaf (ma su di lei, tornerò su altrove). Milord.

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Un attimo prima dell'alba


A questa notte croata, un attimo prima dell'alba,
dedico questa canzone (clicca qui)

Il villaggio di Saint-Paul de Vence

Alpes-Maritimes, sud della Francia.
Tanto decantato, questo villaggio,
a me non è piaciuto per nulla.
L'unico luogo degno di nota
è il piccolo cimitero.
Il resto puzza di accalappiaturisti.
Provare per credere.

venerdì 13 giugno 2008

Santo o non santo...

photo by Jacqueline Spaccini

Io non lo so davvero se i draghi siano esistiti.
Ma questo santo viene estremamente bene
e in pittura e in scultura.

Ivan Meštrović (1883-1962)


Ivan Meštrović è per me il Rodin croato.
E' bello passeggiare per Zagabria e trovare all'improvviso,
all'angolo di una strada o addossata a un palazzo, una sua creazione.

Però preferisco lui a Rodin.

Enciclopedia Conoscere


Enciclopedia Conoscere: tutto ebbe inizio da là.
Non ero piccolissima, ma nemmeno grande. Libri in casa non ve n'erano, ché se riuscivamo a unire il pranzo con la cena era già tanto.
Quando bisognava trovare nel dizionario la definizione di tale o tal'altra parola, io e la mamma la inventavamo, seguendo il nostro intuito.

Poi un giorno di non so più quale anno, mamma prese la risoluzione di acquistare a rate l'Enciclopedia CONOSCERE della Fabbri Editori.
All'epoca, i venditori usavano il sistema door to door. E forse l'avranno presa anche per allocca, la mia mamma.

Io passavo i pomeriggi interi a leggere i sedici volumi (con anche l'appendice e i 4 annessi tematici, più piccoli, ma forse anche più belli per gli occhi). Tutti i personaggi della storia, gli inventori, i letterati, finanche le cartine geografiche del mondo intero, a me ancora oggi vengono in mente con le immagini di Conoscere.

Li ho consumati tanto, li ho letti e riletti quei volumi.
Sono quasi distrutti a casa di mia madre.
Ma non mi bastava. Anni fa, festeggiando il mio 43esimo compleanno, vedendoli nella vetrina di un libraio di viale Manzoni a Roma, non ci ho pensato su: sono entrata e ho chiesto quanto voleva, per tutta la collezione.

80€, fu la risposta.
Li comprai immediatamente, con una strana febbre addosso.

Ora quando torno nella mia casa italiana, in quei pomeriggi in cui non so che fare, vado alla mia libreria ed estraggo a caso un volume.
Leggo, e mi rendo conto che il poco o il tanto che so, lo debbo tutto ai Fratelli Fabbri Editori.

Grazie.
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Les 400 coups


No, io i 400 coups da piccola non li ho fatti.
Non li ho fatti nemmeno da adolescente.
Sarebbe stato da idioti farli da adulta.
Però, in vecchiaia... un pensierino...

(* Faire les quatre cents coups = fare il diavolo a quattro)
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