domenica 31 agosto 2008

Le voyage d'Anna Blume (italian review)















Ludwig Meidner, Paysage d'Apocalypse (Berlin, Nationalgalerie, 1913)
La foto è prelevata dal sito internet www.madinin-arte.net

Non è stato facile, questo libro (in italiano: Nel paese delle ultime cose). L'ho dovuto riprendere in mano tre volte, per entrarci dentro.
Iniziavo, leggevo le prime righe e qualcosa in esso mi respingeva.
Complice forse la copertina della versione francese (il titolo originale è In the Country of Last Things), sentivo che mi attendeva qualcosa di forte, di ostico, qualcosa che richiedeva ben più dell'amorevole attenzione cui dedico alla lettura.

Frettolosamente, dicevo: Non mi prende, stavolta, Paul Auster (foto).

Ma poi, a distanza di qualche mese mi imponevo di riaprire le pagine di questo romanzo: Non è possibile. Non può NON piacermi. Amo tutto, di Auster...

Ho preso una scorciatoia dell'intelletto. Ho deciso di leggerlo come se dovessi tradurlo in italiano. E il primo incanto s'è sciolto come un grappolo d'uva moscato in bocca: le parole. Curate, precise, per nulla arzigogolate. Parole che non lasciavano scelta: prendere o lasciare. Auster non giocava con la metaletteratura com'era solito fare; non faceva il verso compiaciuto a se stesso dell'estrema sua intellettualità.

Questa Anna Blume, a dire il vero, non è per nulla simpatica. E la quasi totale assenza di dialoghi (il romanzo è narrato sotto forma di diario su un improvvisato quadernetto destinato a un suo ex amore ancora nel suo cuore - a noi lettori -) all'inizio infastidisce.

Ma è nella crudezza del taglio semantico, nella totale riluttanza a commuoverci che sta la carta vincente di questo anomalo romanzo. All'inizio ci si chiede se non ci si debba attendere la rivelazione di un Paese nascosto, qualcosa da scrostare dietro la storiella del Paese senza nome in cui vive prigioniera Anna: sarà la rappresentazione dell'URSS staliniana? O forse un qualunque Stato ove governi dittatoriali si avvicendano affamando i loro cittadini? Tutto è surreale? Una fiaba amara? Fantapolitica? Esse est percipi, alla Berkeley? Nulla è esistito se svanisce?

Macché, macché. Non ha nessuna importanza tutto ciò.
Che questa storia sia nata da un evento reale o da un incubo austeriano, quel che conta è Altrove.
E' nell'essenza stessa dell'umano esistere. E delle relazioni terrene.
E' una sorta di ipotesi ragionata sull'homo hominis lupus: in un Paese in cui si uccide per una crosta di pane e che quando il pane non c'è più, si mangiano topi con ancora i peli addosso e quando anche i topi vengono meno si smembrano corpi umani che non sono ancora cadaveri, c'è ancora posto per la filosofia, l'amore, l'Idea?

Si può restare uomini e donne degni di questo nome?

Se no, che cosa si diventa? L'abisso ha una fine o è incalcolabile?
E se, invece, a dispetto di ogni logica, c'è spazio per un sì, come avviene ciò - e soprattutto attraverso quale forza eversiva, tale da superare la insopprimibile prepotenza della fame e dell'abbrutimento, la sopraffazione prevaricatrice della sopravvivenza (nel romanzo ci sono anche le sette suicide, ma non anticipo troppo) -?

Il romanzo ha una trama forte, spiazzante, ma perfettamente coerente. Ad Anna si affiancheranno numerosi compagni di viaggio (la maggior parte di essi si perderà per strada): Isabella, Sam, Victoria, Boris, Willy, Bogat, Ferdinand (notate l'eterogeneità dei nomi. Attraverso di loro, Auster abbraccia lingue e Paesi a noi noti). E' un mondo in cui i libri sono buoni per riscaldare e vanno bene per il braciere, tanto vi fa freddo.

Ma nonostante tutto, sopravvivono solo coloro che coltivano una speranza: quella di andarsene, ma anche quella di sentire di non appartenere a nessun luogo.

In un passaggio del libro, Anna dice di Boris Stepanovich: "assumeva il ruolo del clown, del brigante e del filosofo, ma più lo conoscevo, più percepivo tali ruoli come aspetti di un'unica personalità che sfruttava le sue svariate armi nel tentativo di riportarmi alla vita. Siamo diventati cari amici, e verso Boris conservo un debito grande per la sua compassione, per gli attacchi obliqui e persistenti che lanciava contro i bastioni della mia tristezza" (traduco all'impronta).

Oppure, altrove: "Era come essere un confessore, diceva [Sam, n.d.r.], e poco a poco si è messo a misurare tutto il bene che si fa quando si permette alla gente di sfogarsi - quel salutare effetto di pronunciare le parole, di lasciarle uscire. Parole che raccontano quel che è successo a ciascuno di noi. [...] Farsi passare per un dottore gli aveva improvvisamente dato accesso ai pensieri intimi degli altri, e questi pensieri cominciavano ora a far parte di lui. Il suo mondo interiore è diventato più vasto [...]".

La speranza fa ripartire. Anche se tutto non è null'altro che illusione.

La fine è solo immaginaria, una destinazione che inventi per continuare ad andare avanti, ma arriva il momento in cui ti rendi conto che non ce la farai mai. Può darsi che tu sia costretto a fermarti, ma allora sarà perché hai poco tempo davanti a te. Ti fermi, ma questo non significa che sei arrivato fino in fondo.

E il romanzo non finisce qui. Non con questa frase finale.

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Mi accorgo, rileggendo, che non sono riuscita minimamente a restituire la graffiata dolorosa con la quale questo libro mi ha lacerata. Darò la colpa a Chopin, che mi ha fatto compagnia mentre buttavo giù queste righe.


E a proposito di Mozart...

Era un genio. Fuor di dubbio.
Mi piace ricordare qualcosa di lui:

L'aria della Regina della Notte (Il Flauto Magico):



(Astrifiammante è la madre di Pamina, la giovane amata da Tamino)

Il Dies Irae del Requiem (diretto da Leonard Bernstein):



(ricordo di averlo ascoltato, nelle vene, a Spoleto - durante il Festival dei Due Mondi. Ma non dirigeva Bernstein)

Eine kleine Nachtmusik:



(celeberrima, inflazionata)

L'aria Non più andrai, farfallone amoroso (Le Nozze di Figaro)



L'aria Madamina, il catalogo è questo (Don Giovanni)



E infine, uno spezzone importante del celeberrimo film di Miloš Forman, Amadeus (in inglese, sottotitolato in spagnolo):

sabato 30 agosto 2008

1 mese e 1 anno fa, moriva Ingmar Bergman...

Ingmar Bergman (clicca qui per la biografia filmica e non solo)

Video di tributo:



e poi il Settimo Sigillo (la scena):




[Nel mio caso, il mio corpo lo sarebbe pure (forse), ma non lo è il mio spirito!]


Il posto delle fragole:



E che cos'è l'amore?

Questo?

(da Donne in attesa)



Oppure questo?

(da Il settimo sigillo)



Tutti e due - probabilmente - e anche questo (almeno per me):
(da Il flauto magico). Purtroppo la versione bergmaniana è disabilitata su youtube.



Non dirò molte parole. (Ri)vedete i suoi film.
Lasciano sempre qualcosa. Dentro.

venerdì 29 agosto 2008

Guerra e pace di Tolstoj: perché non l'ho potuto terminare


Non posso iniziare a leggere un libro di cui conosca - sia pure in parte - la trama. Lo stesso vale per i film.

Vado a tastoni, insomma.

Nel settembre del 1988, avevo in mano il primo volume di questo romanzo.

Al capolinea del bus extraurbano che mi avrebbe portato a Frascati (al lavoro), mi inoltravo nella lettura.

A un tratto, una voce dietro di me, fa: Sei già arrivata al punto in cui il principe Bolkonskij abbandona Natasha?

Richiusi immediatamente il tomo.
Ero a p. 2.
E lì sono rimasta.

n.d.r. La voce era di colui che - 6 anni dopo - sarebbe diventato mio marito (il secondo).

giovedì 28 agosto 2008

Al Tre Fontane (Atletica leggera) - Roma EUR

me (ventenne) da " Coppo"

A volte, allimprovviso, quasi a tradimento, arrivano odori che mi riportano indietro nel passato.

Raramente me ne giunge uno che mi rimanda con la mente al tempo dellatletica leggera, quando militavo nelle file del CUS ROMA.

La mia specialità erano gli 800 metri.

Non fu una vocazione, né un dono di natura.

Volevo fare uno sport e non cerano soldi in casa per frequentare piscine o corsi a pagamento qualsiasi. Fossi stata un ragazzo, avrei dato calci a un pallone. In alternativa, avevo un amico (Rino. Oggi è professore di educazione fisica) che correva per il Don Bosco di Roma e si allenava con Mr. Bianchi, ex maratoneta, sulle piste del Tre Fontane, allEur. Andai anchio.

Fui sottoposta a un test di velocità. 100, 200, 400. Non ero una velocista di natura.
In questi casi, inutile perdere tempo, non migliorerai mai. Ma avevo una bella falcata, un fisico longilineo: provammo cogli 800. Divenne la mia gara.

Ho corso per 5 anni. Tutti i giorni. Cinque ore al giorno.

Ho fatto tutte le gare che occorreva fare: provinciali, regionali, nazionali.

Ho corso anche il cross. Corsa campestre, si diceva allepoca. Ebbi lonore di gareggiare con Gabriella Dorio (una gran donna).

La mia dieta era di 5000 calorie al giorno, mi feci gli addominali e possenti muscoli sulle cosce e sui polpacci.

Macinavo chilometri su chilometri. Sempre in slip, scarpe da corsa e quelle chiodate (tutto Adidas, e gratis: un lusso, per me) con magliettine attillate giallo CUS, tuta azzurrissima con una banda gialla lungo le braccia e le gambe (e chi se la metteva mai? Per questo, lo sport mi regalò i reumatismi). E infine la sacca della società, l'immensa (a me pareva tale) sacca blu con il marchio CUS ROMA in giallo (da giovani, si è contro tutto e parallelamente - ossimoricamente - si vuole appartenere a un gruppo, far parte di una comunità).
Quando ebbi in dotazione tutto ciò, mi parve di toccare il cielo con un dito, per la felicità.

Non ricordo le diete, né le sudate.

Ricordo il terreno sotto ai miei piedi

lodore dellerba bagnata

le lezioni scolastiche ripetute ad alta voce correndo

quelle sui libri nel percorso del tram e nel 93 (poi 671)

i permessi dei proff del mio liceo per svolgere i compiti scritti di tutta una settimana concentrati nella domenica pomeriggio

il guaio di essere andata in iperallenamento, con conseguente caduta durante una batteria di 10x200 e rottura dello scafoide (mano destra)

le gare col gesso, i compiti in classe col gesso

le gare non vinte

alcune medaglie (da secoli perdute nello sgabuzzino della casa materna)

un giudice dire che ho un bellissimo passo

la forza di volontà a non mollare mai

lassoluta mancanza di ambizione, ma la tenacia di non smettere

le chiacchiere con le amiche col cuore in mano (Tamara Pamich e Chiara Castellani: luna figlia del grande Abdon, oggi divenuta medico sportivo; laltra medico volontario prima in Nicaragua e poi in Africa)

gli innamoramenti sulle piste

lassoluta assenza di pudore (amavamo il nostro corpo; se fossi dovuta uscire dagli spogliatoi nuda, non mi sarei vergognata granché)

la fatica

il vento, la pioggia, il caldo, la grandine

e dopo 5 anni di questa vita, la consapevolezza che non sarei diventata una campionessa mondiale.


Infine, labbandono.

Non sono più entrata nel campo delle 3 Fontane, mai più calpestato il suo tartan.

Non ho più corso.
Se non appresso agli autobus.


mercoledì 27 agosto 2008

Quenelles à la lyonnaise


Les quenelles sono del tipo nature e non au brochet (= al luccio, che non sopporto).
Che cosa sono? Di che cosa sono fatte? Cliccate qui

Dapprima, preparo un sughetto semplice con funghi champignon (3 grossi, tagliati a lamelle grossolane), 1 scatola di pomodori pelati (400 g), olio extra vergine d'oliva, prezzemolo tritato, sale q.b. e aglio (io uso quello in polvere).

Nella foto qui sopra, ho messo tutto assieme nella padella, senza attendere che il sugo prenda sapore.

In questa foto cuociono da 10 mn. Temperatura media.


Pronte! Sono passati 15-20 minuti in tutto.
Esistono in vendita quenelles anche più piccole di queste, ma si gonfiano e alla fine diventano un po' molli, mentre quelle di questa marca (clicca qui) restano sode. A mio avviso, sono le migliori.
Si possono tagliare a rondelle. Saporitissime. Vino che ho scelto: un Bourgogne rosso.

Curiosità: a Parigi, esistono mini ristoranti (clicca qui) in cui si cucinano solo quenelles (ripeto: preferite le "nature" alle "brochet"!)

P.S. Molti non le conoscono. Non siete soli.

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N.B. Siccome sento nelle orecchie quell'adorabile rompiscatole di Marella che mi chiede:

"Sì, vabbè, ma se volessi prepararmele da me?",

ecco la preparazione (dal sito della valentissima SuperToinette):

Occorrono:

250 g di farina
1 g di sale
1 uovo
[1 pizzico di francese]

Niente paura! La ricetta con foto è qui
Variante: clicca qui
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lunedì 25 agosto 2008

Per te che torni domani, amore

photo by @rteJS






Bentornato. Bentornato per sempre.

sabato 23 agosto 2008

Gli ABBA

Segni di senilità: negli anni '70 li detestavo, gli ABBA.
Ed ora mi ritrovo ad ascoltarli. Non è che la cosa mi faccia tornare ventenne, ma un tuffo nel passato lo faccio comunque. E riscopro che pur detestandoli, mi vestivo pressappoco come Agnetha e Frieda (solo che quelle cose attillate le indosserò a quasi 40 anni).
Manco sapevo ch'erano sposati tra di loro...




(Questa qui sotto, la canzone dopo il divorzio tra Agnetha e Benny)

Ma com'è bella la Défense!

venerdì 22 agosto 2008

U AKCIJU! ... ovvero: Never Say Never Again

Dedicato a Sandra Zjačić
che attendo a Parigi

Trg Bana Jelačića (photo by @rteJS)


Ora che l'ho perduta, questa terra, ora che non ci tornerò più, posso permettermi di rimpiangerla. Di lasciarmi andare alla nostalgia. Ma la nostalgia è il rimpianto della patria (nostos) da cui si è lontani. E io non sento di avere una patria lontana: mi manca l'Italia quando sono in Francia e viceversa. L'ho già scritto, sto bene solo sui cieli, nel tratt
o che mi separa da un luogo all'altro.
E poi, non sono mica croata!

Dicevo, questa terra, la Croazia. Ho scelto una delle ultime foto scattate a Zagabria, nella piazza principale, la
Jelačića, presa in un'insolita mattinata illuminata dal sole. Tutto appare più gaio. E superficiale.

Eppure una parte della mia anima è quel che è anche grazie (o per colpa) della terra croata. E delle persone che vi ho incontrato, di quelle che ho amato. E soprattutto di quelle (poche) che amo ancora.

Ricordo il pomeriggio in cui arrivai per la prima volta. L'addetto culturale che sfoggiava parole e pronunce che a me parvero impossibili: leggevo ulica e l'addetto mi correggeva ulitsa!, dicevo cesta e quella: tsesta! Mi dicevo: "Non imparerò mai". E invero, ho imparato poco e male, ma sono sopravvissuta.

E questa grande piazza che ho nel cuore e nella mente (potrei citare a memoria l'avvicendarsi di negozi), dedicata a un bano (signore, governatore, condottiero) morto pazzo (notizia non attendibile: relata refero), presenta una statua equestre che nel volgere dei secoli è stata spostata di direzione: ora la spada del bano minaccia l'Ungheria, ora (proprio ora) l'Italia. E tutti si danno appuntamento lì, tra la statua e quell'orologio che nella mia foto (cliccandovi sopra si ingrandisce a tutta pagina)
segna le undici meno un quarto .

E guardando la pubblicità dell'Olympus, ripenso a quando leggevo (u) akciju e non capivo che significasse (in)"promozione, offerta"... E penso all'antistante hotel Dubrovnik, in cui ordinai il mio primo kavu sa slagom (lo so, manca l'accento diacritico sulla *s* di *slagom*)...

Basta, mi fermo qui, per stasera. I ricordi si fanno troppo pressanti. E poi come dice James Bond? Never Say Never Again.
Appunto, non si sa mai; magari ci torno.

__________

Al solito, cliccando sulle parole sottolineate, si vedono foto (altrui) esplicative.

Mal aimé cantato da Julien Doré

E che vi debbo dire? A me piace immensamente come Julien Doré canta le Mal aimé... (1974, cavallo di battaglia di Claude François).

Canzone che mi canto da sola quando sono in paranoia di amore (cioè quando penso che nessuno mi ami per davvero).




Ecco le parole:

J'ai besoin qu'on m'aime
Mais personne ne me comprend
Ce que j'espère et que j'attends
Qui pourrait me dire qui je suis ?
Et j'ai bien peur
Toute ma vie d'être incompris
Car aujourd'hui : je me sens...

{Refrain:}
Mal aimé
Je suis le mal aimé
Les gens me connaissent
Tel que je veux me montrer
Mais ont-ils cherché à savoir
D'où me viennent mes joies ?
Et pourquoi ce désespoir
Caché au fond de moi ?

Si les apparences
Sont quelquefois contre moi
Je ne suis pas ce que l'on croit
Contre l'aventure de chaque jour
J'échangerais demain la joie de ton amour
Mais je suis là comme avant

{au Refrain}

Car je suis...
{au Refrain 2x}

Paul Auster: Nella Terra delle ultime cose

photo by @rteJS - dipinto di Alice Nieri

Io l'avrei tradotto così, In the Country of Last Things, il romanzo di Paul Auster. Invece qui in Francia si è optato per Le voyage d'Anna Blume.

E' la terza volta che riprendo in mano questo libro: l'incipit è difficile, duro, pieno di muri ad angolo e anche un poco sbrecciati, di quelli che ti feriscono le mani.

E allora faccio esercizio di traduzione on line, all'impronta, per invogliare chi legge a prenderlo in mano (magari otterrò l'effetto contrario, chissà).

* * *
"Sono le ultime cose, ha scritto lei. Una dopo l'altra svaniscono e non riappaiono mai. Posso parlarti di quelle che ho visto, di quelle che non ci sono più, ma temo di non avere tempo. Accade tutto troppo in fretta, ora, e non riesco più a seguirle.
Non mi aspetto che tu capisca. Non hai visto nulla di tutto ciò e anche se ci provassi non sapresti immaginartelo. Sono le ultime cose. Un giorno, una casa si trova qui e l'indomani è scomparsa. Una via che hai percorso ieri, oggi non c'è più. Persino il clima cambia di continuo. Un giorno di sole seguito da uno di pioggia, un giorno di neve seguito da uno di nebbia, il caldo e poi il fresco, prima il vento e poi la calma piatta, a un periodo di freddo terribile segue oggi - in pieno inverno - un pomeriggio di luce profumata, calda abbastanza per indossare appena un pulloverino. Quando si abita in città si impara a non contare su nulla. Chiudiamo gli occhi per un attimo, ci voltiamo per guardare qualche altra cosa ed ecco che quel che avevamo davanti, d'improvviso è svanito. Nulla dura, capisci, nemmeno i pensieri che ci portiamo dentro. Non ti venga in mente di perdere tempo a ricercarli: quando una cosa è andata, è per sempre.
E' così che vivo, proseguiva nella sua lettera. Non mangio quasi; appena il giusto per continuare a mettere un piede avanti all'altro, non di più. Talvolta la mia debolezza è tale che ho l'impressione che non riuscirò mai a fare il passo successivo. Ma ci riesco. Nonostante i cedimenti, continuo ad andare avanti. Dovresti vedere come me la cavo bene."
(traduzione dal francese che traduce dall'americano a mia cura)

* * *

Ho trovato - più tardi - lo stesso incipit in traduzione italiana dall'americano (a cura di Monica Sperandini). Paul Auster, Nel paese delle ultime cose. Torino, Einaudi, 2003, 8€50.

E allora lo posto qui, a confronto.

* * *
Queste sono le ultime cose, scriveva. A una a una scompaiono e non ritornano piú. Posso raccontarti di quelle che ho visto, di quelle che non esistono piú, ma temo di non averne il tempo. Tutto sta accadendo cosí velocemente ora, che non riesco a tenervi dietro.

Non mi aspetto che tu capisca. Non hai mai visto niente di tutto questo, e anche se ci provassi non potresti neppure immaginarlo. Queste sono le ultime cose. Una casa un giorno è li e il giorno dopo è sparita. Una strada lungo la quale solo ieri camminavi, oggi non esiste piú. Persino il tempo è in un flusso costante. Un giorno di sole seguito da un giorno di pioggia, un giorno di neve seguito da un giorno di nebbia, il caldo e poi il freddo, il vento e poi la calma, un periodo di freddo pungente e poi oggi, nel mezzo dell'inverno, un pomeriggio di luce fragrante, caldo al punto da far sudare. Quando vivi in città impari a non dare nulla per scontato. Chiudi gli occhi per un attimo, ti giri a guardare qualcos'altro e la cosa che era dinnanzi a te è sparita all'improvviso. Niente dura, vedi, neppure i pensieri dentro di te. E non devi sprecare tempo a cercarli. Quando una cosa sparisce, finisce.

Ecco come vivo, continuava la sua lettera. Mangio poco. Quel tanto che basta per tirare avanti passo dopo passo, e niente piú. Talvolta mi assale la debolezza, e sento che non riuscirò a muovere il prossimo passo. Ma me la cavo. Nonostante gli sbandamenti riesco a tirare avanti. Dovresti vedere come me la cavo bene.

* * *





giovedì 21 agosto 2008

Dulce Pontes: canzoni e dislocazioni geografiche

Strana sorte per queste canzoni portoghesi:
le ho ascoltate così tante volte a Zagabria, che ormai ogni loro nota mi ricorda un luogo di quella città.

una via di Zagabria (photo by @rteJS)

Dulce Pontes, l'avevo conosciuta grazie alla colonna sonora del film "Sostiene Pereira" [film senza valore, a causa della pessima qualità recitativa di Dionisi e Braschi. Fortuna che c'era Marcello Mastroianni (di nessuna incidenza la partecipazione di Daniel Auteuil) e la storia forte di Tabucchi].

foto prelevata da: abbracciepopcorn.blogspot.com



Poi la mia amica Anna mi regalò il CD Lagrimas (con anche dentro, queste due meraviglie) :

Canção do mar (la prima versione di Amalia Rodriguez, la sentirò dopo)



Lagrima




Estate autunnale

foto by @rteJS

Oggi il parco di Saint-Cloud è un po' come me: autunnale.
Le foglie cadono, stancamente, così come io faccio cadere le parole.
Malamente.
E' una sensazione tiepida.
Come me.


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mercoledì 20 agosto 2008

Ultimamente...

una zona del mio salotto caprolatto

Ultimamente, ho un problema: durante la giornata, qualcosa che non riesco a spiegare, mi guasta l'umore.

Stamani, credo di averne individuato la causa.

Non sopporto di essere messa in causa, criticata (anche impercettibilmente), "ripresa" (soprattutto se penso di aver ragione - come quasi sempre accade) per qualcosa di detto o scritto.

Mi arrabbio e mi chiudo nel malumore.

Un bel problema.

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lunedì 18 agosto 2008

Serie tv Nebbie e delitti

Lo confesso: adoro guardare su internet (grazie a Raiclick, clicca qui) Nebbie e delitti.



Mi piace l'atmosfera ferrarese, tutta quella nebbia, i toscani del commissario Soneri, con le sue indecisioni, la scontrosità e la ritrosia. Mi piace quel lato debole che ha, mi piacciono le storie tratte dai romanzi di Valerio Varesi. Mi piace la faccia da antipatico di Luca Barbareschi e quella del questore piantagrane (ma quando mai?) di Mariano Rigillo.

Insomma, mi piace.

Il futuro di mio figlio (per il momento)

La foto è stata rimossa per motivi di privacy.
Romain (photo by @rteJS)

Allora: Romain ce l'ha fatta a decidersi. Dopo anni di assoluta incertezza, di smaccata dichiarazione di inabilità a qualsiasi tipo di formazione professionale (je vais devenir livreur de pizza), l'altroieri - in auto - mi fa:

"Sai, mamma, so quel che voglio fare nella vita."

"Ah, sì?"

"Sì. Non come te e papà. Troppo intellettuali, troppo lungo il vostro percorso."

... (mi concentro sulla guida) ...

"No, no. Voglio fare il giornalista."

"Bene!"

"Sì, mi rendo conto che dovrò comunque leggere un bel po'. Ma di scrivere roba lunga come voi, non se ne parla proprio."

"Va bene. D'accordo. Ottima notizia. Bel mestiere. Vedremo il da farsi."



domenica 17 agosto 2008

Estate italiana 2008: Tempo di bilanci


Gubbio


Caprarola

Circeo

Non traggano in inganno le foto qui sopra: è stato un mese in cui ho lavorato più che altro. Qualcuno (Bart) mi ha definita intellettuale di fatica.

Una domanda agli automobilisti italiani: ma le frecce sono optional? Voglio dire: non le installano sulle vetture?

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