sabato 22 marzo 2008

Una solitudine coltivata


Direi che la solitudine che mi ha accolta qui, e che mi sono anche coltivata, va rafforzando in me quel senso di estraneità alle persone che è cresciuto negli anni. Non è un caso che non parli mai degli esseri umani. Credo sia anche per questo che ho smesso di scrivere novelle. Prima gli esseri umani mi interessavano e li raccontavo a modo mio. Ora sono le cose che mi interessano di più. Trovo le cose più concrete e attendibili delle persone. Che cosa significhi, ti giuro, non mi perito di saperlo. Quando dico le cose, non intendo gli oggetti, a meno che essi non siano all’interno di un contesto che per me significa qualcosa. Come ad esempio, nella foto qua sopra.

Quei tetti azzurri che vedo dalla mia finestra mi sopravviveranno. Non voglio dire che la natura (sia pure una natura artificiale, creata dall'uomo) sia leopardianamente indifferente. E se lo è, ha tutta la mia approvazione. Approvazione della quale la Signora Natura se ne infischia, giustamente.

A quei tetti non mi lega che uno sguardo, abituale e mattutino, gettato distrattamente in loro direzione. Sono la speranza di un mutamento, di un rinnovamento dentro di me.

Tutte cose che mi dico da anni, ma io non cambio, non cambio mai, come l’Alberto Lupo di Mina.

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