lunedì 24 marzo 2008

La sindrome di Stendhal


















Le retable d'Issenheim di Grunewald, nel Musée d'Unterlinden. Era il 200o, forse il 2oo1.

C'ero andata apposta in quella città per vederlo.

Una corsa pazza in auto, per arrivare prima che il museo chiudesse.

Appena in tempo. Manca meno di mezz'ora; via via, lasciamo stare l'albergo. Lo cercherò dopo.

Mi dispiace, è tardi. Le casse sono chiuse, mi sono sentita dire.

Per favore, per favore... Ho fatto 500 km per vederlo. Ignorerò tutto il resto e filerò dritta al retablo.

Hanno capito, sono entrata. Correndo correndo, vedevo sfilare i quadri affissi alle pareti, non potevo fermarmi. Che bello il chiostro, però...

Ce l'ho fatta. Sono arrivata. E' così grande che debbono ospitarlo dentro la ex-cappella.

Proverò anch'io la sindrome di Stendhal di cui soffrì Margherita Guidacci (1) dinanzi a questa tela enorme, piena di portelli da aprire come un ventaglio?

Proverò un'emozione qualunque davanti alla Crocefissione?

Ci sono, ci sono. Eccolo.

Le ginocchia si piegano. E' stupendo.

La Sindrome di Stendhal (2), l'ha spiegata la dottoressa Magherini (cfr. libro dal titolo eponimo, Ponte alle Grazie, 1989) : è un malessere, una specie di svenimento che si prova dinanzi a un'opera d'arte che richiama ai nostri sensi smarriti un "insoluto" che alberga a nostra insaputa dentro noi stessi, e che ci sconvolge.

Ma io non sono svenuta come lo scrittore francese.

A me pervase lo spirito di commozione.

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(1) Poetessa italiana (1921-1992)
(2) La provò Stendhal uscendo dalla chiesa di Santa Croce a Firenze nel 1817.

1 commento:

  1. Bello! E' una strana sensazione, perche' ho appena lasciato il mio racconto su anobii e subito dopo sono venuta qui a leggere il tuo e ho ritrovato un vissuto simile. Interessante corrispondenza, forse e' il potere dell'arte.

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